Negli ultimi anni, l’integrazione dei non cittadini è diventata un tema centrale nell’ambito delle politiche migratorie italiane. L’introduzione dell’Accordo di integrazione, a riguardo, costituisce uno spartiacque fondamentale, sancendo il passaggio da una fase in cui le misure di inclusione erano considerate un diritto per gli immigrati - almeno per quelli in regola con il titolo di soggiorno -, a una fase in cui quelle stesse misure diventano un dovere per i nuovi arrivati. L’Accordo, infatti, è una sorta di “contratto” 1 tra lo straniero e lo Stato che si articola per crediti e vincola obbligatoriamente il sottoscrivente al soddisfacimento di alcuni requisiti, pena la revoca del permesso di soggiorno. Nello stesso periodo in cui si andava articolando il dibattito politico che ha portato poi all’istituzione dell’Accordo, numerosi sindaci - di Comuni situati prevalentemente nel nord Italia - hanno messo in atto specifiche e variegate strategie di esclusione nei confronti dei non cittadini, guadagnando visibilità tanto a livello istituzionale quanto a livello mediatico. Tra strategie figurano alcune iniziative - che hanno assunto spesso la veste giuridica dell’ordinanza sindacale - finalizzate a restringere i criteri per l’iscrizione anagrafica. La scelta di fare ricorso a strategie del genere è stata quasi sempre motivata dagli amministratori locali adducendo come pretesto la necessità di tutelare la sicurezza della popolazione comunale, minacciata da una presunta emergenza migratoria. L’Accordo di integrazione e le iniziative finalizzate all’esclusione dalla residenza, sebbene siano “oggetti” differenti e operino a livelli di governo diversi (statale in un caso, locale nell’altro), condividono, come si cercherà di mostrare nelle prossime pagine, la medesima natura, consentendo di operare una selezione all’interno della popolazione migrante. Per questa ragione, tanto il primo quanto le seconde si configurano come meccanismi selettivi: possono essere azionati da soggetti che occupano determinate posizioni politiche e amministrative per ottenere specifici effetti di regolazione sociale. L’articolo qui proposto, dunque, muovendo da una prospettiva sociologica, 2 intende analizzare i due differenti meccanismi giuridico-istituzionali sopra menzionati, illustrandone il funzionamento, svelandone gli obiettivi (dichiarati e nascosti) e mostrandone gli effetti (potenziali e, in alcuni casi, reali).3 Allo scopo di rendere possibile tale analisi, l’attenzione verrà posta sui meccanismi e sulle loro caratteristiche più che sulle differenze tecniche tra i diversi strumenti giuridici che li compongono. Di conseguenza, “oggetti” piuttosto eterogenei da un punto di vista strettamente formale - ad esempio, regolamenti attuativi, circolari ministeriali, ordinanze comunali e prassi amministrative - saranno accomunati in virtù del fatto che contribuiscono a realizzare, con modalità affini da un punto di vista sostanziale, obiettivi fortemente congruenti. I meccanismi qui analizzati, infatti, introducono requisiti molto rigidi nei confronti dei non cittadini allo scopo di ostacolarne il soggiorno nel territorio italiano e di negare loro l’accesso a numerosi diritti. A questo scopo, essi si avvalgono di argomentazioni di ordine socio-culturale - relative cioè alle (presunte) caratteristiche attitudinali e comportamentali delle categorie di soggetti a cui sono riferite - e socio-economico in buona parte analoghe. Da questo punto di vista, tali meccanismi evidenziano al loro interno la presenza di una relazione molto stretta tra il potere di compiere certe azioni, facendo anche ricorso a determinate misure, e i saperi (in materia di integrazione così come di dinamiche migratorie e di sicurezza urbana) chiamati in causa per giustificare tali azioni e tali misure. I meccanismi selettivi oggetto di attenzione in questo contributo, dunque, assomigliano molto ai dispositivi4 descritti da Foucault: rivestono una funzione strategica nel governare determinati fenomeni disponendoli in un certo ordine e classificandoli in una maniera ritenuta legittima.

Integrazione o esclusione? I meccanismi di selezione degli immigrati tra livello statale e livello locale

Gargiulo Enrico
2014

Abstract

Negli ultimi anni, l’integrazione dei non cittadini è diventata un tema centrale nell’ambito delle politiche migratorie italiane. L’introduzione dell’Accordo di integrazione, a riguardo, costituisce uno spartiacque fondamentale, sancendo il passaggio da una fase in cui le misure di inclusione erano considerate un diritto per gli immigrati - almeno per quelli in regola con il titolo di soggiorno -, a una fase in cui quelle stesse misure diventano un dovere per i nuovi arrivati. L’Accordo, infatti, è una sorta di “contratto” 1 tra lo straniero e lo Stato che si articola per crediti e vincola obbligatoriamente il sottoscrivente al soddisfacimento di alcuni requisiti, pena la revoca del permesso di soggiorno. Nello stesso periodo in cui si andava articolando il dibattito politico che ha portato poi all’istituzione dell’Accordo, numerosi sindaci - di Comuni situati prevalentemente nel nord Italia - hanno messo in atto specifiche e variegate strategie di esclusione nei confronti dei non cittadini, guadagnando visibilità tanto a livello istituzionale quanto a livello mediatico. Tra strategie figurano alcune iniziative - che hanno assunto spesso la veste giuridica dell’ordinanza sindacale - finalizzate a restringere i criteri per l’iscrizione anagrafica. La scelta di fare ricorso a strategie del genere è stata quasi sempre motivata dagli amministratori locali adducendo come pretesto la necessità di tutelare la sicurezza della popolazione comunale, minacciata da una presunta emergenza migratoria. L’Accordo di integrazione e le iniziative finalizzate all’esclusione dalla residenza, sebbene siano “oggetti” differenti e operino a livelli di governo diversi (statale in un caso, locale nell’altro), condividono, come si cercherà di mostrare nelle prossime pagine, la medesima natura, consentendo di operare una selezione all’interno della popolazione migrante. Per questa ragione, tanto il primo quanto le seconde si configurano come meccanismi selettivi: possono essere azionati da soggetti che occupano determinate posizioni politiche e amministrative per ottenere specifici effetti di regolazione sociale. L’articolo qui proposto, dunque, muovendo da una prospettiva sociologica, 2 intende analizzare i due differenti meccanismi giuridico-istituzionali sopra menzionati, illustrandone il funzionamento, svelandone gli obiettivi (dichiarati e nascosti) e mostrandone gli effetti (potenziali e, in alcuni casi, reali).3 Allo scopo di rendere possibile tale analisi, l’attenzione verrà posta sui meccanismi e sulle loro caratteristiche più che sulle differenze tecniche tra i diversi strumenti giuridici che li compongono. Di conseguenza, “oggetti” piuttosto eterogenei da un punto di vista strettamente formale - ad esempio, regolamenti attuativi, circolari ministeriali, ordinanze comunali e prassi amministrative - saranno accomunati in virtù del fatto che contribuiscono a realizzare, con modalità affini da un punto di vista sostanziale, obiettivi fortemente congruenti. I meccanismi qui analizzati, infatti, introducono requisiti molto rigidi nei confronti dei non cittadini allo scopo di ostacolarne il soggiorno nel territorio italiano e di negare loro l’accesso a numerosi diritti. A questo scopo, essi si avvalgono di argomentazioni di ordine socio-culturale - relative cioè alle (presunte) caratteristiche attitudinali e comportamentali delle categorie di soggetti a cui sono riferite - e socio-economico in buona parte analoghe. Da questo punto di vista, tali meccanismi evidenziano al loro interno la presenza di una relazione molto stretta tra il potere di compiere certe azioni, facendo anche ricorso a determinate misure, e i saperi (in materia di integrazione così come di dinamiche migratorie e di sicurezza urbana) chiamati in causa per giustificare tali azioni e tali misure. I meccanismi selettivi oggetto di attenzione in questo contributo, dunque, assomigliano molto ai dispositivi4 descritti da Foucault: rivestono una funzione strategica nel governare determinati fenomeni disponendoli in un certo ordine e classificandoli in una maniera ritenuta legittima.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/726850
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