In questo contributo, l'Autore prende le mosse dall'analisi di tre recenti sentenze della Corte costituzionale (sentenze nn. 106, 107 e 166 del 2018), affrontando successivamente il più ampio e di sempre maggiore attualità tema del radicamento territoriale richiesto talvolta dai legislatori regionali o dal legislatore statale per garantire l'erogazione di taluni servizi sociali. Di fronte all'apparente omogeneità di questo oramai copioso impianto giurisprudenziale, sempre orientato nel senso dell'accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale, si è dato conto del concreto argomentare della Corte costituzionale, che pare invece, nelle singole ipotesi, tutt'altro che omogeneo e granitico. La Consulta, infatti, riconosce la legittima aspettativa dei poteri pubblici di pretendere stabilità nell'azione amministrativa e dunque stabilità da parte dei destinatari delle diverse provvidenze sociali, pervenendo alle declaratorie di incostituzionalità in ragione soprattutto di un cattivo uso della discrezionalità normativa da parte del legislatore, che delinea apparati normativi irragionevoli e sproporzionati. Ciò premesso e rilevato, la Corte individua almeno due diverse fattispecie di provvidenze sociali: quelle che spettano all'individuo in quanto tale e non esigono pertanto alcun radicamento territoriale, e quelle che sono riconosciute in ragione di determinate circostanze, che possono esigere detto radicamento territoriale, ancorché non mai irragionevole e sproporzionato, con il parametro che, allo stato attuale, viene offerto dalla disciplina euro-unitaria, che equipara ai fini delle prestazioni sociali al cittadino il residente da almeno cinque anni sul territorio nazionale.

La Corte costituzionale torna, in tre occasioni ravvicinate, sul requisito del radicamento territoriale per accedere ai servizi sociali. Un tentativo di delineare un quadro organico della giurisprudenza in argomento

Michele Belletti
2018

Abstract

In questo contributo, l'Autore prende le mosse dall'analisi di tre recenti sentenze della Corte costituzionale (sentenze nn. 106, 107 e 166 del 2018), affrontando successivamente il più ampio e di sempre maggiore attualità tema del radicamento territoriale richiesto talvolta dai legislatori regionali o dal legislatore statale per garantire l'erogazione di taluni servizi sociali. Di fronte all'apparente omogeneità di questo oramai copioso impianto giurisprudenziale, sempre orientato nel senso dell'accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale, si è dato conto del concreto argomentare della Corte costituzionale, che pare invece, nelle singole ipotesi, tutt'altro che omogeneo e granitico. La Consulta, infatti, riconosce la legittima aspettativa dei poteri pubblici di pretendere stabilità nell'azione amministrativa e dunque stabilità da parte dei destinatari delle diverse provvidenze sociali, pervenendo alle declaratorie di incostituzionalità in ragione soprattutto di un cattivo uso della discrezionalità normativa da parte del legislatore, che delinea apparati normativi irragionevoli e sproporzionati. Ciò premesso e rilevato, la Corte individua almeno due diverse fattispecie di provvidenze sociali: quelle che spettano all'individuo in quanto tale e non esigono pertanto alcun radicamento territoriale, e quelle che sono riconosciute in ragione di determinate circostanze, che possono esigere detto radicamento territoriale, ancorché non mai irragionevole e sproporzionato, con il parametro che, allo stato attuale, viene offerto dalla disciplina euro-unitaria, che equipara ai fini delle prestazioni sociali al cittadino il residente da almeno cinque anni sul territorio nazionale.
2018
Michele Belletti
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