Come possono le collaborazioni università-impresa essere disegnate effi-cacemente tenendo conto che le parti coinvolte hanno interessi ed obiettivi spesso divergenti? Potrebbe il supporto di organizzazioni o istituzioni ester-ne alla collaborazione aiutare ad attenuare queste barriere e, quindi, rendere queste collaborazioni maggiormente efficaci ed efficienti nel raggiungimen-to di specifici obiettivi? Con l’emergere di un’economia basata sulla conoscenza, innovazione e competitività sono sempre più influenzate dai risultati della ricerca di base e, di conseguenza, dalla capacità delle università e delle imprese di lavora-re insieme. Lo sfruttamento di una conoscenza scientifica solida ed all’a-vanguardia è diventato un asset fondamentale per la competitività di un Paese e, recentemente, l’accento delle politiche di crescita a livello nazio-nale (e non solo) è stato posto più sull’opportunità di possedere risorse immateriali – quali competenze ed idee innovative – all’altezza, che sulla necessità di avere sufficienti risorse materiali. Per questo motivo, gli istitu-ti di ricerca sono oggigiorno considerati l’avanguardia dell’innovazione (European Parliament, 2012) e la volontà del mondo imprenditoriale di uti-lizzare i risultati della ricerca pubblica come risorsa strategica per raggiun-gere posizioni di vantaggio competitivo è aumentata esponenzialmente. In tale ottica, le attività di trasferimento tecnologico rappresentano un pre-zioso strumento attraverso il quale perseguire il progresso economico e sociale. Mentre su scala mondiale, da molti anni ormai, università e centri di ri-cerca stanno fornendo il loro prezioso contributo allo sviluppo economico e tecnologico attraverso molteplici attività di trasferimento della conoscenza, in Italia, la necessità di mettere in condivisione sapere e competenze tra isti-tuzioni pubbliche ed organizzazioni private è diventata più evidente soltanto recentemente, portando però, abbastanza repentinamente, ad un cambiamen-to sostanziale dei ruoli assunti in tal senso da università ed imprese. I cam-biamenti che si sono verificati a livello istituzionale e governativo hanno stimolato e facilitato non poco le azioni che sono state via via promosse dal-la stragrande maggioranza delle università in Italia (Bianchi & Piccaluga, 2012). Nel 2001, la legge n. 383/2001, la cosiddetta “Tremonti bis”, ha rap-presentato un punto di svolta fondamentale per il contesto della ricerca ita-liana. Essa ha fatto sì che la proprietà dei brevetti derivanti dai risultati della ricerca scientifica passasse in capo agli scienziati inventori – ribaltando la normativa in vigore dal 1957 (vale a dire la D.P.R. n. 3/1957) – ma ha, co-munque, mantenuto il diritto delle università di partecipare alla distribuzione dei proventi derivanti dallo sfruttamento commerciale di tali brevetti. In tal senso, il rapporto fra ricercatore ed istituzione è diventato ancora più forte, avendo il ricercatore stesso un ruolo chiave nel passaggio della conoscenza scientifica al mondo privato. Nonostante la crescente rilevanza che le collaborazioni università-impre-sa hanno ottenuto sotto vari profili, non è facile, né tantomeno scontato, rag-giungere risultati soddisfacenti attraverso queste forme di cooperazione. Il mondo accademico e quello industriale, infatti, sono stati tradizionalmente considerati come appartenenti a sfere istituzionali diverse, che si interessano a diversi processi di creazione della conoscenza. La loro diversità è stata perlopiù basata sulla distinzione tra ricerca di ba-se e ricerca applicata (Merton & Storer, 1973; Murray & O’Mahony, 2007; Sauermann & Stephan, 2011; Stokes, 1997). Infatti, i risultati e gli obiettivi di interesse specifico possono divergere notevolmente se si tiene conto del fatto che ciascuna parte è interessata ad esplorare ed approfondire aspetti di-versi di uno stesso progetto di ricerca (Bruneel, D’Este & Salter, 2010). Questa divergenza ha costituito – e continua tutt’oggi a costituire – una bar-riera importante alla gestione delle collaborazioni università-impresa. Tuttavia, la consapevolezza della loro complementarietà per raggiungere innovazione economica, sociale e tecnologica è in crescita, sia all’interno del mondo accademico che di quello industriale. Conseguentemente, l’im-portanza di migliorare il trasferimento delle conoscenze tra istituti di ricerca pubblici e terzi soggetti è stata riconosciuta come un’area fondamentale di intervento pubblico. Molte università italiane hanno iniziato negli ultimi dieci anni a creare uffici appositamente dedicati al trasferimento tecnologi-co, con l’intento appunto di incentivare la cooperazione con le imprese, di incrementare e facilitare il trasferimento della conoscenza e di perseguire obiettivi cosiddetti di terza missione. Per tutte queste ragioni, la letteratura scientifica si è interessata in ma-niera crescente al tema della collaborazioni università-impresa. In partico-lare, nonostante sia stato ampiamente riconosciuto dalla letteratura di ma-nagement, ed in particolare da quella organizzativa, che il mondo accade-mico e quello imprenditoriale differiscono sotto molti aspetti, pochi studi hanno cercato di capire a fondo, anche a livello teorico, quali sono i tratti distintivi di questi due contesti che permettono di spiegare tale divergenza (Bruneel, D’Este & Salter, 2010). Nel primo capitolo cercheremo di fare maggiore chiarezza su questo aspetto. In particolare, basandoci sulla lette-ratura esistente, cercheremo di illustrare quegli aspetti peculiari dei due contesti organizzativi che rendono le comunicazioni difficile e la collabo-razione complessa. Presenteremo diverse teorie che, pur leggendo il feno-meno in maniera diversa, giungono a conclusioni analoghe in tal senso. In particolare, ci soffermeremo sul punto di vista della letteratura neo-isti-tuzionalista, per passare poi a considerare il punto di vista della letteratura che tratta dell’università imprenditoriale. Nel secondo capitolo riporteremo uno studio empirico sul ruolo degli intermediari nei processi di trasferi-mento tecnologico. In particolare, basandoci sull’analisi di sei intermediari considerati fra i più efficienti in Italia – due uffici trasferimento tecnologi-co, due incubatori universitari e due consorzi università-impresa – faremo luce sulle best practices da loro utilizzate al fine di migliorare la gestione delle collaborazioni università-impresa e di rendere questi rapporti di coo-perazione più efficaci. L’approccio teorico utilizzato per lo studio è quello neo-istituzionalista. Nel terzo capitolo passeremo ad illustrare un altro stu-dio empirico sul ruolo delle organizzazioni intermedie nei processi di tra-sferimento della conoscenza. In particolare, ci soffermeremo sull’analisi delle misure e delle attività implementate da questi intermediari per la ri-duzione della distanza cognitiva, geografica, organizzativa e sociale fra ri-cercatori accademici ed imprese nei rapporti di collaborazione. Faremo ve-dere che tali pratiche sono influenzate sostanzialmente da due caratteristi-che particolari del processo di trasferimento tecnologico: l’esperienza ma-turata da ricercatori ed imprese in collaborazioni analoghe ed il grado di complessità della conoscenza oggetto dello scambio. In questo caso, l’ap-proccio teorico utilizzato per l’analisi si rifarà alla letteratura di imprendi-torialità, ed in particolare al filone di ricerca che si occupa di prossimità. Il quarto capitolo si occuperà di trarre le conclusioni finali, che interessano non soltanto gli attori direttamente coinvolti nei processi di trasferimento tecnologico, ma anche i policy makers che si occupano di disegnare le po-litiche a supporto di tali processi.

Il trasferimento tecnologico tra sfide ed opportunità: Ruoli e strategie degli intermediari

Villani, Elisa
2018

Abstract

Come possono le collaborazioni università-impresa essere disegnate effi-cacemente tenendo conto che le parti coinvolte hanno interessi ed obiettivi spesso divergenti? Potrebbe il supporto di organizzazioni o istituzioni ester-ne alla collaborazione aiutare ad attenuare queste barriere e, quindi, rendere queste collaborazioni maggiormente efficaci ed efficienti nel raggiungimen-to di specifici obiettivi? Con l’emergere di un’economia basata sulla conoscenza, innovazione e competitività sono sempre più influenzate dai risultati della ricerca di base e, di conseguenza, dalla capacità delle università e delle imprese di lavora-re insieme. Lo sfruttamento di una conoscenza scientifica solida ed all’a-vanguardia è diventato un asset fondamentale per la competitività di un Paese e, recentemente, l’accento delle politiche di crescita a livello nazio-nale (e non solo) è stato posto più sull’opportunità di possedere risorse immateriali – quali competenze ed idee innovative – all’altezza, che sulla necessità di avere sufficienti risorse materiali. Per questo motivo, gli istitu-ti di ricerca sono oggigiorno considerati l’avanguardia dell’innovazione (European Parliament, 2012) e la volontà del mondo imprenditoriale di uti-lizzare i risultati della ricerca pubblica come risorsa strategica per raggiun-gere posizioni di vantaggio competitivo è aumentata esponenzialmente. In tale ottica, le attività di trasferimento tecnologico rappresentano un pre-zioso strumento attraverso il quale perseguire il progresso economico e sociale. Mentre su scala mondiale, da molti anni ormai, università e centri di ri-cerca stanno fornendo il loro prezioso contributo allo sviluppo economico e tecnologico attraverso molteplici attività di trasferimento della conoscenza, in Italia, la necessità di mettere in condivisione sapere e competenze tra isti-tuzioni pubbliche ed organizzazioni private è diventata più evidente soltanto recentemente, portando però, abbastanza repentinamente, ad un cambiamen-to sostanziale dei ruoli assunti in tal senso da università ed imprese. I cam-biamenti che si sono verificati a livello istituzionale e governativo hanno stimolato e facilitato non poco le azioni che sono state via via promosse dal-la stragrande maggioranza delle università in Italia (Bianchi & Piccaluga, 2012). Nel 2001, la legge n. 383/2001, la cosiddetta “Tremonti bis”, ha rap-presentato un punto di svolta fondamentale per il contesto della ricerca ita-liana. Essa ha fatto sì che la proprietà dei brevetti derivanti dai risultati della ricerca scientifica passasse in capo agli scienziati inventori – ribaltando la normativa in vigore dal 1957 (vale a dire la D.P.R. n. 3/1957) – ma ha, co-munque, mantenuto il diritto delle università di partecipare alla distribuzione dei proventi derivanti dallo sfruttamento commerciale di tali brevetti. In tal senso, il rapporto fra ricercatore ed istituzione è diventato ancora più forte, avendo il ricercatore stesso un ruolo chiave nel passaggio della conoscenza scientifica al mondo privato. Nonostante la crescente rilevanza che le collaborazioni università-impre-sa hanno ottenuto sotto vari profili, non è facile, né tantomeno scontato, rag-giungere risultati soddisfacenti attraverso queste forme di cooperazione. Il mondo accademico e quello industriale, infatti, sono stati tradizionalmente considerati come appartenenti a sfere istituzionali diverse, che si interessano a diversi processi di creazione della conoscenza. La loro diversità è stata perlopiù basata sulla distinzione tra ricerca di ba-se e ricerca applicata (Merton & Storer, 1973; Murray & O’Mahony, 2007; Sauermann & Stephan, 2011; Stokes, 1997). Infatti, i risultati e gli obiettivi di interesse specifico possono divergere notevolmente se si tiene conto del fatto che ciascuna parte è interessata ad esplorare ed approfondire aspetti di-versi di uno stesso progetto di ricerca (Bruneel, D’Este & Salter, 2010). Questa divergenza ha costituito – e continua tutt’oggi a costituire – una bar-riera importante alla gestione delle collaborazioni università-impresa. Tuttavia, la consapevolezza della loro complementarietà per raggiungere innovazione economica, sociale e tecnologica è in crescita, sia all’interno del mondo accademico che di quello industriale. Conseguentemente, l’im-portanza di migliorare il trasferimento delle conoscenze tra istituti di ricerca pubblici e terzi soggetti è stata riconosciuta come un’area fondamentale di intervento pubblico. Molte università italiane hanno iniziato negli ultimi dieci anni a creare uffici appositamente dedicati al trasferimento tecnologi-co, con l’intento appunto di incentivare la cooperazione con le imprese, di incrementare e facilitare il trasferimento della conoscenza e di perseguire obiettivi cosiddetti di terza missione. Per tutte queste ragioni, la letteratura scientifica si è interessata in ma-niera crescente al tema della collaborazioni università-impresa. In partico-lare, nonostante sia stato ampiamente riconosciuto dalla letteratura di ma-nagement, ed in particolare da quella organizzativa, che il mondo accade-mico e quello imprenditoriale differiscono sotto molti aspetti, pochi studi hanno cercato di capire a fondo, anche a livello teorico, quali sono i tratti distintivi di questi due contesti che permettono di spiegare tale divergenza (Bruneel, D’Este & Salter, 2010). Nel primo capitolo cercheremo di fare maggiore chiarezza su questo aspetto. In particolare, basandoci sulla lette-ratura esistente, cercheremo di illustrare quegli aspetti peculiari dei due contesti organizzativi che rendono le comunicazioni difficile e la collabo-razione complessa. Presenteremo diverse teorie che, pur leggendo il feno-meno in maniera diversa, giungono a conclusioni analoghe in tal senso. In particolare, ci soffermeremo sul punto di vista della letteratura neo-isti-tuzionalista, per passare poi a considerare il punto di vista della letteratura che tratta dell’università imprenditoriale. Nel secondo capitolo riporteremo uno studio empirico sul ruolo degli intermediari nei processi di trasferi-mento tecnologico. In particolare, basandoci sull’analisi di sei intermediari considerati fra i più efficienti in Italia – due uffici trasferimento tecnologi-co, due incubatori universitari e due consorzi università-impresa – faremo luce sulle best practices da loro utilizzate al fine di migliorare la gestione delle collaborazioni università-impresa e di rendere questi rapporti di coo-perazione più efficaci. L’approccio teorico utilizzato per lo studio è quello neo-istituzionalista. Nel terzo capitolo passeremo ad illustrare un altro stu-dio empirico sul ruolo delle organizzazioni intermedie nei processi di tra-sferimento della conoscenza. In particolare, ci soffermeremo sull’analisi delle misure e delle attività implementate da questi intermediari per la ri-duzione della distanza cognitiva, geografica, organizzativa e sociale fra ri-cercatori accademici ed imprese nei rapporti di collaborazione. Faremo ve-dere che tali pratiche sono influenzate sostanzialmente da due caratteristi-che particolari del processo di trasferimento tecnologico: l’esperienza ma-turata da ricercatori ed imprese in collaborazioni analoghe ed il grado di complessità della conoscenza oggetto dello scambio. In questo caso, l’ap-proccio teorico utilizzato per l’analisi si rifarà alla letteratura di imprendi-torialità, ed in particolare al filone di ricerca che si occupa di prossimità. Il quarto capitolo si occuperà di trarre le conclusioni finali, che interessano non soltanto gli attori direttamente coinvolti nei processi di trasferimento tecnologico, ma anche i policy makers che si occupano di disegnare le po-litiche a supporto di tali processi.
2018
144
978-88-921-1295-7
Villani, Elisa
File in questo prodotto:
Eventuali allegati, non sono esposti

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/679501
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact