La parola decommissioning è di origine militare e, probabilmente, fu usata per la prima volta negli anni Venti del Novecento per indicare la messa fuori servizio - ossia il disarmo - di mezzi navali, aerei e pezzi di artiglieria; l’oil&gas è stato uno dei primi settori industriali, assieme al nucleare, ad appropriarsene, qualche decennio or sono, quando si è manifestata la necessità di avviare le attività di rimozione degli impianti di estrazione offshore del Golfo del Messico divenuti oramai obsoleti. Oggi il problema del decommissioning offshore è globale considerando che nei mari che bagnano i cinque continenti ci sono oltre 8000 piattaforme fisse e almeno un migliaio di impianti mobili; diversi esperti stimano che di queste unità asservite all’industria petrolifera offshore, da oggi al 2040, oltre 2000 saranno messe fuori servizio. Il decommissioning delle piattaforme fisse viene usualmente effettuato rimuovendo integralmente le piattaforme dall’ambiente marino in cui si trovano, portandole a terra e poi demolendole o smontandole per venderne gli equipment di valore o, in qualche caso, effettuando un revamping della topside per poi riutilizzarla in altri giacimenti. In alcune regioni - ad esempio nel Golfo del Messico - i jacket, ossia le strutture metalliche di sostegno, una volta tagliate in più tronconi e rimosse sono state, in molte occasioni, adagiate sul fondo a formare reef artificiali. Si conta solamente un caso in cui una piattaforma sia stata riconvertita con una destinazione d’uso non industriale: non si 6 tratta peraltro di una piattaforma fissa, ma di un drilling rig,un impianto di perforazione mobile, trasformato alcuni anni or sono in resort con annesso diving center e che oggi si trova in Malesia; la riconversione in una struttura a vocazione turistica, è una idea affascinante, ma non priva di difficoltà ed incognite, non in ultimo dal punto di vista normativo. In questi ultimi anni sono apparsi tanti studi e proposte di riconversione, più o meno originali, segno dell’interesse che c’è nel volere esplorare possibili utilizzi alternativi, ma praticamente nessuno di questi studi ha poi trovato una effettiva realizzazione. Lo studio di Agnese Paci e Renata Archetti sul riutilizzo di una piattaforma offshore non è, come è stato in molti casi simili, un puro esercizio di fantasia, ma ha innanzitutto il pregio di avere sviluppato una proposta applicata ad un caso reale - la piattaforma Angela- Angelina installata di fronte alla costa ravennate - e che, da un punto di vista tecnico, risulterebbe realizzabile con relativa facilità. Questo studio è però andato oltre, recuperando il concetto di “isola artificiale “e proponendo una transizione verso una seconda vita post-industriale che potrebbe trovare nel turismo e nella ricerca scientifica una sintesi originale e sostenibile se supportata da uno specifico inquadramento legislativo e, non in ultimo, da investitori lungimiranti. In definitiva, la filosofia che sta alla base di questa proposta è quella che interpreta qualsiasi riconversione di un insediamento produttivo - e le piattaforme offshore lo sono a tutti gli effetti - come un caso di archeologia industriale meritevole di salvaguardia, dove il riuso adattivo esce sempre vincente quando il termine di paragone con una realizzazione ex novo è il bilancio energetico complessivo; un risultato che, in una epoca di low-carbon-economy, non può essere ignorato. L’obiettivo felicemente raggiunto nello studio è stato quindi quello di avere coniugato, anche nel settore dell’oil&gas offshore, temi apparentemente dissonanti - industria e turismo - proponendo una soluzione che, oltreché tecnicamente realizzabile, si dimostra anche sostenibile da un punto di vista ambientale, sociale ed economico.

OFFSHORE ADRIATICO Opportunità di riutilizzo delle strutture esistenti

Agnese Paci
Membro del Collaboration Group
;
Renata Archetti
2018

Abstract

La parola decommissioning è di origine militare e, probabilmente, fu usata per la prima volta negli anni Venti del Novecento per indicare la messa fuori servizio - ossia il disarmo - di mezzi navali, aerei e pezzi di artiglieria; l’oil&gas è stato uno dei primi settori industriali, assieme al nucleare, ad appropriarsene, qualche decennio or sono, quando si è manifestata la necessità di avviare le attività di rimozione degli impianti di estrazione offshore del Golfo del Messico divenuti oramai obsoleti. Oggi il problema del decommissioning offshore è globale considerando che nei mari che bagnano i cinque continenti ci sono oltre 8000 piattaforme fisse e almeno un migliaio di impianti mobili; diversi esperti stimano che di queste unità asservite all’industria petrolifera offshore, da oggi al 2040, oltre 2000 saranno messe fuori servizio. Il decommissioning delle piattaforme fisse viene usualmente effettuato rimuovendo integralmente le piattaforme dall’ambiente marino in cui si trovano, portandole a terra e poi demolendole o smontandole per venderne gli equipment di valore o, in qualche caso, effettuando un revamping della topside per poi riutilizzarla in altri giacimenti. In alcune regioni - ad esempio nel Golfo del Messico - i jacket, ossia le strutture metalliche di sostegno, una volta tagliate in più tronconi e rimosse sono state, in molte occasioni, adagiate sul fondo a formare reef artificiali. Si conta solamente un caso in cui una piattaforma sia stata riconvertita con una destinazione d’uso non industriale: non si 6 tratta peraltro di una piattaforma fissa, ma di un drilling rig,un impianto di perforazione mobile, trasformato alcuni anni or sono in resort con annesso diving center e che oggi si trova in Malesia; la riconversione in una struttura a vocazione turistica, è una idea affascinante, ma non priva di difficoltà ed incognite, non in ultimo dal punto di vista normativo. In questi ultimi anni sono apparsi tanti studi e proposte di riconversione, più o meno originali, segno dell’interesse che c’è nel volere esplorare possibili utilizzi alternativi, ma praticamente nessuno di questi studi ha poi trovato una effettiva realizzazione. Lo studio di Agnese Paci e Renata Archetti sul riutilizzo di una piattaforma offshore non è, come è stato in molti casi simili, un puro esercizio di fantasia, ma ha innanzitutto il pregio di avere sviluppato una proposta applicata ad un caso reale - la piattaforma Angela- Angelina installata di fronte alla costa ravennate - e che, da un punto di vista tecnico, risulterebbe realizzabile con relativa facilità. Questo studio è però andato oltre, recuperando il concetto di “isola artificiale “e proponendo una transizione verso una seconda vita post-industriale che potrebbe trovare nel turismo e nella ricerca scientifica una sintesi originale e sostenibile se supportata da uno specifico inquadramento legislativo e, non in ultimo, da investitori lungimiranti. In definitiva, la filosofia che sta alla base di questa proposta è quella che interpreta qualsiasi riconversione di un insediamento produttivo - e le piattaforme offshore lo sono a tutti gli effetti - come un caso di archeologia industriale meritevole di salvaguardia, dove il riuso adattivo esce sempre vincente quando il termine di paragone con una realizzazione ex novo è il bilancio energetico complessivo; un risultato che, in una epoca di low-carbon-economy, non può essere ignorato. L’obiettivo felicemente raggiunto nello studio è stato quindi quello di avere coniugato, anche nel settore dell’oil&gas offshore, temi apparentemente dissonanti - industria e turismo - proponendo una soluzione che, oltreché tecnicamente realizzabile, si dimostra anche sostenibile da un punto di vista ambientale, sociale ed economico.
2018
83
978-88-3276-050-7
Agnese Paci; Renata Archetti
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/671584
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