La Festa dei Frutti Dimenticati viene celebrata ogni anno a Casola Valsenio, nell’appennino ravennate, con l’obbiettivo di far rivivere un pezzo della tradizione agroalimentare locale, riproponendo frutti autunnali raccolti da vecchie piante sopravvissute ai mutamenti colturali o da nuove piante collocate dopo la ripresa di interesse verso l’alimentazione contadina di un tempo. Questa festa, e le motivazioni che la caratterizzano, colgono in qualche modo l’essenza di questo contributo, che vuole sottolineare il profondo rapporto tra cibo e territorio ma anche alcune contraddizioni che possono caratterizzarlo. Da un lato c’è infatti la crescente importanza del cibo stesso, per la salute ed il benessere così come per lo sviluppo locale e l’attrattività turistica; dall’altro c’è la forte difficoltà di alcune produzioni di eccellenza a farsi conoscere ed a fare rete a livello locale. Questa contraddizione tocca anche molti territori italiani. Lo studio è un’analisi di sfondo sull’enogastronomia nelle Valli del Reno e del Setta nell’Appennino Bolognese. A partire da alcuni dati sui movimenti turistici in queste valli, si presenta una “ricerca dell’eccellenza”, svolta ricorrendo ad alcuni indicatori sull’enogastronomia locale e l’attenzione agli eventi locali che la promuovono. Si confrontano quindi le informazioni emerse con le indicazioni fornite da testimoni privilegiati contattati durante la ricerca, arrivando così ad un quadro più completo sulle potenzialità e criticità del patrimonio enogastronomico di quel territorio. Dall’analisi svolta emerge l’impressione di un’enogastronomia a luci ed ombre nelle Valli del Reno e del Setta. Sul territorio ci sono indubbiamente delle eccellenze: un presidio Slow Food, un vino IGT, un ristorante a Sasso Marconi che è stellato Michelin e due ristoranti che compaiono sulla guida della stessa Michelin. D’altra parte, il contatto con alcuni testimoni privilegiati ci ha permesso di individuare molte altre realtà che, pur non raggiungendo la fama delle certificazioni più conosciute, ottengono comunque riconoscimenti nazionali e internazionali; è il caso di Lucia Antonelli del Ristorante Taverna del Cacciatore, della famiglia Gentilini con l’Antica Locanda Alpina, del Caseificio Sociale Fior di Latte, della Forneria Corsini e della Macelleria Zivieri. Tutte queste esperienze, in modo diverso, rimandano a quella cultura di matrice rurale e montana, a quel rapporto ancestrale con il cibo di cui si parlava nella prima parte ed in cui l’ambiente ed il territorio sono fortemente presenti così come la tradizione e le tipicità. Queste esperienze mostrano che l’enogastronomia delle Valli del Reno e del Setta esiste, ha una sua “anima”, aiutata anche dalla presenza di numerose feste e sagre dedicate a prodotti e piatti locali. Quest’anima, tuttavia, sembra ancora “vagare” alla ricerca di un’identità e soprattutto di “anime simili”; sembra cioè faticare a farsi conoscere e a fare rete con gli altri produttori e ristoratori locali. Tutto rimanda forse a quanto segnalato all’inizio del contributo: il turismo enogastronomico è un’opportunità da non farsi scappare, una grande occasione di lancio o di rilancio per interi territori. Proprio per questo, però, non si può dimenticare che non c’è prodotto, evento o locale senza un territorio intorno. Le esperienze di successo in Italia sono quelle che hanno saputo fare sistema, possibilmente sviluppandolo attorno ad un marchio e ad un prodotto forte (vedi i casi del Chianti, delle Langhe o della Franciacorta). L’esigenza si pone a maggior ragione in aree come le Valli del Reno e del Setta, in cui si trovano produzioni di buona qualità ma non c’è quella conosciuta così bene da fare da traino con la sua attrattività. Il traino, verrebbe da dire, si fa tutti insieme.

“I frutti dimenticati”: una ricerca di sfondo su cibo e turismo nell’Appennino Bolognese

Gabriele Manella
2018

Abstract

La Festa dei Frutti Dimenticati viene celebrata ogni anno a Casola Valsenio, nell’appennino ravennate, con l’obbiettivo di far rivivere un pezzo della tradizione agroalimentare locale, riproponendo frutti autunnali raccolti da vecchie piante sopravvissute ai mutamenti colturali o da nuove piante collocate dopo la ripresa di interesse verso l’alimentazione contadina di un tempo. Questa festa, e le motivazioni che la caratterizzano, colgono in qualche modo l’essenza di questo contributo, che vuole sottolineare il profondo rapporto tra cibo e territorio ma anche alcune contraddizioni che possono caratterizzarlo. Da un lato c’è infatti la crescente importanza del cibo stesso, per la salute ed il benessere così come per lo sviluppo locale e l’attrattività turistica; dall’altro c’è la forte difficoltà di alcune produzioni di eccellenza a farsi conoscere ed a fare rete a livello locale. Questa contraddizione tocca anche molti territori italiani. Lo studio è un’analisi di sfondo sull’enogastronomia nelle Valli del Reno e del Setta nell’Appennino Bolognese. A partire da alcuni dati sui movimenti turistici in queste valli, si presenta una “ricerca dell’eccellenza”, svolta ricorrendo ad alcuni indicatori sull’enogastronomia locale e l’attenzione agli eventi locali che la promuovono. Si confrontano quindi le informazioni emerse con le indicazioni fornite da testimoni privilegiati contattati durante la ricerca, arrivando così ad un quadro più completo sulle potenzialità e criticità del patrimonio enogastronomico di quel territorio. Dall’analisi svolta emerge l’impressione di un’enogastronomia a luci ed ombre nelle Valli del Reno e del Setta. Sul territorio ci sono indubbiamente delle eccellenze: un presidio Slow Food, un vino IGT, un ristorante a Sasso Marconi che è stellato Michelin e due ristoranti che compaiono sulla guida della stessa Michelin. D’altra parte, il contatto con alcuni testimoni privilegiati ci ha permesso di individuare molte altre realtà che, pur non raggiungendo la fama delle certificazioni più conosciute, ottengono comunque riconoscimenti nazionali e internazionali; è il caso di Lucia Antonelli del Ristorante Taverna del Cacciatore, della famiglia Gentilini con l’Antica Locanda Alpina, del Caseificio Sociale Fior di Latte, della Forneria Corsini e della Macelleria Zivieri. Tutte queste esperienze, in modo diverso, rimandano a quella cultura di matrice rurale e montana, a quel rapporto ancestrale con il cibo di cui si parlava nella prima parte ed in cui l’ambiente ed il territorio sono fortemente presenti così come la tradizione e le tipicità. Queste esperienze mostrano che l’enogastronomia delle Valli del Reno e del Setta esiste, ha una sua “anima”, aiutata anche dalla presenza di numerose feste e sagre dedicate a prodotti e piatti locali. Quest’anima, tuttavia, sembra ancora “vagare” alla ricerca di un’identità e soprattutto di “anime simili”; sembra cioè faticare a farsi conoscere e a fare rete con gli altri produttori e ristoratori locali. Tutto rimanda forse a quanto segnalato all’inizio del contributo: il turismo enogastronomico è un’opportunità da non farsi scappare, una grande occasione di lancio o di rilancio per interi territori. Proprio per questo, però, non si può dimenticare che non c’è prodotto, evento o locale senza un territorio intorno. Le esperienze di successo in Italia sono quelle che hanno saputo fare sistema, possibilmente sviluppandolo attorno ad un marchio e ad un prodotto forte (vedi i casi del Chianti, delle Langhe o della Franciacorta). L’esigenza si pone a maggior ragione in aree come le Valli del Reno e del Setta, in cui si trovano produzioni di buona qualità ma non c’è quella conosciuta così bene da fare da traino con la sua attrattività. Il traino, verrebbe da dire, si fa tutti insieme.
2018
Viaggi enogastronomici e sostenibilità
130
145
Gabriele Manella
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