Stefano Zaggia ricostruisce, in questo volume, le vicende che interessano le sedi di punta dell’università patavina lungo il XVI secolo, il Palazzo del Bo e l’Orto botanico. La letteratura critica e la documentazione d’archivio sono sottoposte al vaglio di un’accurata rilettura, spesso nell’ostinato silenzio delle fonti su quei dati di cantiere che, soli, avrebbero potuto fugare ogni dubbio residuo, non ultimo quello relativo alle attribuzioni. Per Padova è epoca cruciale di progressiva dipendenza - anche culturale - dalla vicina Venezia che non rinuncerà a influire sulle scelte di carattere architettonico. Ma intanto la città sta vivendo la congiuntura, comune a più realtà geografiche, che porta al concentrarsi in un unico edificio della funzione didattica, fino a quel momento sparpagliata in più sedi, in concomitanza con un generalizzato rafforzamento del ruolo istituzionale dell’università. Giuliana Mazzi, nell’introduzione, punta l’attenzione, a questo proposito, sulla nascita, verso la fine del ‘400, in Italia, di una vera e propria tipologia edilizia per le dimore del sapere, campo di studio relativamente recente per la storiografia architettonica. Il nucleo principale, l’Hospitium bovis, fu affittato nel 1493 e i primi lavori dovettero consistere in una semplice rifunzionalizzazione degli spazi per adeguarsi ai nuovi usi. Ma è alla metà del secolo successivo che «lo Studio, inserito definitivamente all’interno dell’organigramma istituzionale veneziano, deve assumere un’identità materiale riconoscibile e in grado di esprimere i significati di dignità e di onore propri della Repubblica». Le operazioni per attribuire al palazzo qualità estetica commisurata alla nuova funzione, iniziarono nel 1543 e terminarono nei primi anni del secolo successivo con la costruzione della facciata principale. Quanto ai protagonisti, evidenze documentarie certificano la presenza sul cantiere del bergamasco Andrea Moroni, già attivo in altre fabbriche patavine come coordinatore formale e tecnico della costruzione. In questo caso però Zaggia avanza la possibilità che vi siano state interferenze di personalità come Bartolomeo Ammannati, a quel tempo residente a Padova e impegnato in un cantiere cittadino o, per via indiretta, del Sansovino che ispira diverse scelte nell’edificazione del cortile, cuore ordinatore della costruzione e punto di riferimento per l’intero centro urbano, «l’anima di essa città». La realizzazione dell’orto botanico fu avviata nel 1545-46 e dovette certamente conformarsi ad un piano studiato per assolvere alle funzioni proprie di un organismo universitario: ricerca e didattica. I pochi dati, suffragati dalle tracce materiali, comunque rimandano ad una struttura circolare nella quale era inscritto un quadrato, destinato alla coltura dei semplici, il tutto ordinato da due percorsi ortogonali, orientati secondo i punti cardinali. La lettura che Stefano Zaggia opera delle testimonianze coeve evidenzia, inoltre, la presenza, attorno a quello che viene definito hortus sphaericus, di una costruzione in muratura, un anello porticato «paragonabile ai “criptoportici” anulari presenti nelle vestigia teatrali antiche, che avrebbe reso il luogo ancor più simile a un anfiteatro». Emerge quindi l’interessante problema dei modelli per una tipologia, quella del giardino botanico, a metà strada fra natura e architettura. Più fasi caratterizzarono la realizzazione del giardino, ma comunque «dopo più di mezzo secolo dalla fondazione, alle soglie di una nuova epoca, l’Orto dei semplici dello studio patavino si avviava ad assumere un ruolo se non nuovo, certamente solo secondariamente pensato all’origine: più legato, cioè, a una dimensione di pubblica frequentazione e fruizione estetica, “un piccolo theatro, quasi un piccolo mondo” nel quale si “farà spettacolo di tutte le meraviglie della Natura”».

Recensione al volume di Stefano Zaggia, L’università di Padova nel Rinascimento. La costruzione del palazzo del Bo e dell’Orto botanico

BETTAZZI, MARIA BEATRICE
2005

Abstract

Stefano Zaggia ricostruisce, in questo volume, le vicende che interessano le sedi di punta dell’università patavina lungo il XVI secolo, il Palazzo del Bo e l’Orto botanico. La letteratura critica e la documentazione d’archivio sono sottoposte al vaglio di un’accurata rilettura, spesso nell’ostinato silenzio delle fonti su quei dati di cantiere che, soli, avrebbero potuto fugare ogni dubbio residuo, non ultimo quello relativo alle attribuzioni. Per Padova è epoca cruciale di progressiva dipendenza - anche culturale - dalla vicina Venezia che non rinuncerà a influire sulle scelte di carattere architettonico. Ma intanto la città sta vivendo la congiuntura, comune a più realtà geografiche, che porta al concentrarsi in un unico edificio della funzione didattica, fino a quel momento sparpagliata in più sedi, in concomitanza con un generalizzato rafforzamento del ruolo istituzionale dell’università. Giuliana Mazzi, nell’introduzione, punta l’attenzione, a questo proposito, sulla nascita, verso la fine del ‘400, in Italia, di una vera e propria tipologia edilizia per le dimore del sapere, campo di studio relativamente recente per la storiografia architettonica. Il nucleo principale, l’Hospitium bovis, fu affittato nel 1493 e i primi lavori dovettero consistere in una semplice rifunzionalizzazione degli spazi per adeguarsi ai nuovi usi. Ma è alla metà del secolo successivo che «lo Studio, inserito definitivamente all’interno dell’organigramma istituzionale veneziano, deve assumere un’identità materiale riconoscibile e in grado di esprimere i significati di dignità e di onore propri della Repubblica». Le operazioni per attribuire al palazzo qualità estetica commisurata alla nuova funzione, iniziarono nel 1543 e terminarono nei primi anni del secolo successivo con la costruzione della facciata principale. Quanto ai protagonisti, evidenze documentarie certificano la presenza sul cantiere del bergamasco Andrea Moroni, già attivo in altre fabbriche patavine come coordinatore formale e tecnico della costruzione. In questo caso però Zaggia avanza la possibilità che vi siano state interferenze di personalità come Bartolomeo Ammannati, a quel tempo residente a Padova e impegnato in un cantiere cittadino o, per via indiretta, del Sansovino che ispira diverse scelte nell’edificazione del cortile, cuore ordinatore della costruzione e punto di riferimento per l’intero centro urbano, «l’anima di essa città». La realizzazione dell’orto botanico fu avviata nel 1545-46 e dovette certamente conformarsi ad un piano studiato per assolvere alle funzioni proprie di un organismo universitario: ricerca e didattica. I pochi dati, suffragati dalle tracce materiali, comunque rimandano ad una struttura circolare nella quale era inscritto un quadrato, destinato alla coltura dei semplici, il tutto ordinato da due percorsi ortogonali, orientati secondo i punti cardinali. La lettura che Stefano Zaggia opera delle testimonianze coeve evidenzia, inoltre, la presenza, attorno a quello che viene definito hortus sphaericus, di una costruzione in muratura, un anello porticato «paragonabile ai “criptoportici” anulari presenti nelle vestigia teatrali antiche, che avrebbe reso il luogo ancor più simile a un anfiteatro». Emerge quindi l’interessante problema dei modelli per una tipologia, quella del giardino botanico, a metà strada fra natura e architettura. Più fasi caratterizzarono la realizzazione del giardino, ma comunque «dopo più di mezzo secolo dalla fondazione, alle soglie di una nuova epoca, l’Orto dei semplici dello studio patavino si avviava ad assumere un ruolo se non nuovo, certamente solo secondariamente pensato all’origine: più legato, cioè, a una dimensione di pubblica frequentazione e fruizione estetica, “un piccolo theatro, quasi un piccolo mondo” nel quale si “farà spettacolo di tutte le meraviglie della Natura”».
2005
bettazzi m. b.
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