Come è noto, i luoghi archeologici, naturalmente ricchi di diversità temporale costituiscono generalmente spazi di colonizzazione da parte della vegetazione spontanea e, di conseguenza importanti serbatoi di biodiversità, in particolare nei contesti urbani. La ridotta pressione antropica e la presenza di condizioni ambientali peculiari che caratterizzano questi siti, favoriscono generalmente lo sviluppo di una composita flora ruderale composta da specie erbacee, arbustive ed arboree. Il timore di non essere in grado di gestire le dinamiche vegetali (associata alla endemica mancanza di fondi per la manutenzione) hanno condotto in passato a semplificate pratiche gestionali di asettica sterilizzazione dei contesti archeologici che potrebbero trovare invece nell’ uso consapevole della componente vegetale, soluzioni ottimali per una conservazione attiva, sostenibile anche in termini economici. Il progetto degli spazi aperti archeologici vede infatti nel disegno della struttura vegetale uno degli aspetti più complessi e controversi, di rado affrontati in maniera consapevole ed effettivamente interdisciplinare. Le considerazioni proposte in questa sede, intendono osservare con sguardo diverso la questione della coesistenza fra ruderi e vegetazione: bisogna infatti considerare come la combinazione fra questi due fattori costituisca in effetti uno tra i principali elementi caratterizzanti di luoghi e paesaggi archeologici. Esiste, almeno a partire dagli anni Settanta, una nutrita letteratura scientifica sui rischi connessi alla presenza incontrollata della vegetazione nelle aree archeologiche. La presenza di piante in una area archeologica d'altro canto si è visto può rappresentare un elemento di difesa da fattori ambientali che diversamente potrebbero essere all’ origine di fenomeni di alterazione e degrado delle realtà ruderali. In molti casi, infatti la struttura vegetale presente può contribuire a favorire la conservazione degli elementi archeologici attraverso la riduzione delle radiazioni solari, del vento, delle precipitazioni atmosferiche e degli agenti inquinanti o dell’aerosol marino che costituiscono importanti fattori di degrado. In questo senso, un progetto integrato che combini i protocolli di intervento sulle piante dannose con la valorizzazione paesaggistica del sito e la tutela della sua biodiversità, dovrebbe essere elaborato da una equipe interdisciplinare che, accanto ad archeologi e restauratori, contempli la presenza di botanici, ecologi e paesaggisti.

Strutture vegetali e conservazione attiva dei paesaggi archeologici. Note per una ricerca

Andrea Ugolini
;
2017

Abstract

Come è noto, i luoghi archeologici, naturalmente ricchi di diversità temporale costituiscono generalmente spazi di colonizzazione da parte della vegetazione spontanea e, di conseguenza importanti serbatoi di biodiversità, in particolare nei contesti urbani. La ridotta pressione antropica e la presenza di condizioni ambientali peculiari che caratterizzano questi siti, favoriscono generalmente lo sviluppo di una composita flora ruderale composta da specie erbacee, arbustive ed arboree. Il timore di non essere in grado di gestire le dinamiche vegetali (associata alla endemica mancanza di fondi per la manutenzione) hanno condotto in passato a semplificate pratiche gestionali di asettica sterilizzazione dei contesti archeologici che potrebbero trovare invece nell’ uso consapevole della componente vegetale, soluzioni ottimali per una conservazione attiva, sostenibile anche in termini economici. Il progetto degli spazi aperti archeologici vede infatti nel disegno della struttura vegetale uno degli aspetti più complessi e controversi, di rado affrontati in maniera consapevole ed effettivamente interdisciplinare. Le considerazioni proposte in questa sede, intendono osservare con sguardo diverso la questione della coesistenza fra ruderi e vegetazione: bisogna infatti considerare come la combinazione fra questi due fattori costituisca in effetti uno tra i principali elementi caratterizzanti di luoghi e paesaggi archeologici. Esiste, almeno a partire dagli anni Settanta, una nutrita letteratura scientifica sui rischi connessi alla presenza incontrollata della vegetazione nelle aree archeologiche. La presenza di piante in una area archeologica d'altro canto si è visto può rappresentare un elemento di difesa da fattori ambientali che diversamente potrebbero essere all’ origine di fenomeni di alterazione e degrado delle realtà ruderali. In molti casi, infatti la struttura vegetale presente può contribuire a favorire la conservazione degli elementi archeologici attraverso la riduzione delle radiazioni solari, del vento, delle precipitazioni atmosferiche e degli agenti inquinanti o dell’aerosol marino che costituiscono importanti fattori di degrado. In questo senso, un progetto integrato che combini i protocolli di intervento sulle piante dannose con la valorizzazione paesaggistica del sito e la tutela della sua biodiversità, dovrebbe essere elaborato da una equipe interdisciplinare che, accanto ad archeologi e restauratori, contempli la presenza di botanici, ecologi e paesaggisti.
2017
Andrea Ugolini;Tessa Matteini
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