L’instabilità segmentale vertebrale è considerata da alcuni autori un sottogruppo della lombalgia (Farfan, 1985; Friberg, 1987; Delitto, 1995; O’Sullivan, 2000), con sintomi e segni clinici specifici. Essa si verifica quando si manifesta una diminuzione della capacità, da parte del sistema di stabilizzazione spinale, di mantenere la zona neutra vertebrale entro i limiti fisiologici (Panjabi, 1992). Cause di instabilità possono essere: modificazioni anatomiche e/o degenerative del tripode articolare (Nachemson, 1991; McGregor, 2001; Fujiwara, 2000; Luk, 2003; Axelsson, 2004), gli esiti di interventi chirurgici al disco vertebrale (Kotilanen, 1998; Skaf, 2005), la mancanza di un adeguato controllo motorio da parte dei muscoli stabilizzatori lombari (Lindgren, 1993; Panjabi, 1992; Cholewicki, 1996; Comerford, 2001). L’approccio conservativo evidence based all’instabilità vertebrale deve quindi considerare la capacità di individuare tale condizione come causa prevalente della sintomatologia del paziente. A tal fine è stata eseguita una ricerca sui principali data base (Pubmed; Embase; CINAHL; Pedro; Cochrane Library), per capire come si può diagnosticare l’instabilità clinica, quali test eseguire per confermare clinicamente l’instabilità e infine quale presentazione clinica può essere indicativa per inviare il paziente al trattamento di stabilizzazione. La revisione ha riguardato anche l’efficacia degli esercizi per questa condizione clinica, il miglior razionale per il trattamento e gli outcome da utilizzare per la valutazione del risultato. Le conclusioni di questo lavoro possono riassumersi nei seguenti punti:  L’instabilità vertebrale può essere considerata una condizione clinica specifica della lombalgia.  L’accuratezza diagnostica dell’instabilità lombare segmentaria può essere ottenuta solo combinando le informazioni dell’anamnesi, dell’esame fisico e delle valutazioni manuali (O’Sullivan, 2000; Hicks, 2003 e 2005; Fritz, 2005).  La capacità di identificare anomalie del movimento nella pratica clinica tramite l’osservazione e la palpazione è risultata mediamente poco affidabile, ed è comunque associata ad un background di terapia manuale legato ad approcci quali Cyriax, McKenzie, Maitland, Osteopatia ecc.(Cook, 2005).  Il trattamento dell’instabilità può essere preso in considerazione quando sono state escluse altre condizioni patologiche.  Il trattamento dell’instabilità clinica deve avere come obiettivo la presa in carico automatica e riflessa del segmento intervertebrale da parte del sistema sottocorticale (Hides, 2001; Richardson, 1999). Questo obiettivo può essere perseguito mediante svariati e differenti approcci (Feldenkrais, PNF, Bobath, allenamento su superfici instabili), anche se la maggior parte degli studi considera soprattutto un approccio peculiare che propone, in una prima fase, gli esercizi specifici di attivazione dei muscoli stabilizzatori locali (traverso addominale e multifido) con un carico fisiologico basso, come le contrazioni mantenute con l’articolazione in posizione neutra, gli esercizi propriocettivi ed il controllo motorio (Behm 2005). Successivamente, sono indicati esercizi più complessi e funzionali, attuati per ripristinare la coordinazione con gli altri gruppi muscolari, la forza e la resistenza (O’Sullivan, 1997 e 2000; Celestini, 2005).  Il tempo del trattamento nei diversi studi varia da 4 a 20 settimane.  Gli strumenti di outcome utilizzati sono preferibilmente i questionari sulla disabilità funzionale. Il biofeedback a pressione non sembra raccomandato per valutare l’efficacia del trattamento (Mills, 2005)  La stabilizzazione come “funzione” è multisegmentaria e non può prescindere dalla riabilitazione funzionale globale (Kavcic, 2004).

Approccio conservativo evidence based all’instabilità vertebrale

VANTI, CARLA
2006

Abstract

L’instabilità segmentale vertebrale è considerata da alcuni autori un sottogruppo della lombalgia (Farfan, 1985; Friberg, 1987; Delitto, 1995; O’Sullivan, 2000), con sintomi e segni clinici specifici. Essa si verifica quando si manifesta una diminuzione della capacità, da parte del sistema di stabilizzazione spinale, di mantenere la zona neutra vertebrale entro i limiti fisiologici (Panjabi, 1992). Cause di instabilità possono essere: modificazioni anatomiche e/o degenerative del tripode articolare (Nachemson, 1991; McGregor, 2001; Fujiwara, 2000; Luk, 2003; Axelsson, 2004), gli esiti di interventi chirurgici al disco vertebrale (Kotilanen, 1998; Skaf, 2005), la mancanza di un adeguato controllo motorio da parte dei muscoli stabilizzatori lombari (Lindgren, 1993; Panjabi, 1992; Cholewicki, 1996; Comerford, 2001). L’approccio conservativo evidence based all’instabilità vertebrale deve quindi considerare la capacità di individuare tale condizione come causa prevalente della sintomatologia del paziente. A tal fine è stata eseguita una ricerca sui principali data base (Pubmed; Embase; CINAHL; Pedro; Cochrane Library), per capire come si può diagnosticare l’instabilità clinica, quali test eseguire per confermare clinicamente l’instabilità e infine quale presentazione clinica può essere indicativa per inviare il paziente al trattamento di stabilizzazione. La revisione ha riguardato anche l’efficacia degli esercizi per questa condizione clinica, il miglior razionale per il trattamento e gli outcome da utilizzare per la valutazione del risultato. Le conclusioni di questo lavoro possono riassumersi nei seguenti punti:  L’instabilità vertebrale può essere considerata una condizione clinica specifica della lombalgia.  L’accuratezza diagnostica dell’instabilità lombare segmentaria può essere ottenuta solo combinando le informazioni dell’anamnesi, dell’esame fisico e delle valutazioni manuali (O’Sullivan, 2000; Hicks, 2003 e 2005; Fritz, 2005).  La capacità di identificare anomalie del movimento nella pratica clinica tramite l’osservazione e la palpazione è risultata mediamente poco affidabile, ed è comunque associata ad un background di terapia manuale legato ad approcci quali Cyriax, McKenzie, Maitland, Osteopatia ecc.(Cook, 2005).  Il trattamento dell’instabilità può essere preso in considerazione quando sono state escluse altre condizioni patologiche.  Il trattamento dell’instabilità clinica deve avere come obiettivo la presa in carico automatica e riflessa del segmento intervertebrale da parte del sistema sottocorticale (Hides, 2001; Richardson, 1999). Questo obiettivo può essere perseguito mediante svariati e differenti approcci (Feldenkrais, PNF, Bobath, allenamento su superfici instabili), anche se la maggior parte degli studi considera soprattutto un approccio peculiare che propone, in una prima fase, gli esercizi specifici di attivazione dei muscoli stabilizzatori locali (traverso addominale e multifido) con un carico fisiologico basso, come le contrazioni mantenute con l’articolazione in posizione neutra, gli esercizi propriocettivi ed il controllo motorio (Behm 2005). Successivamente, sono indicati esercizi più complessi e funzionali, attuati per ripristinare la coordinazione con gli altri gruppi muscolari, la forza e la resistenza (O’Sullivan, 1997 e 2000; Celestini, 2005).  Il tempo del trattamento nei diversi studi varia da 4 a 20 settimane.  Gli strumenti di outcome utilizzati sono preferibilmente i questionari sulla disabilità funzionale. Il biofeedback a pressione non sembra raccomandato per valutare l’efficacia del trattamento (Mills, 2005)  La stabilizzazione come “funzione” è multisegmentaria e non può prescindere dalla riabilitazione funzionale globale (Kavcic, 2004).
2006
Pubblicato nella Monografia di Aggiornamento del Gruppo di Studio della Scoliosi e delle Patologie Vertebrali
123
127
VANTI, CARLA
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/623577
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