Lungo il confine che va dalla plasticità e fluidità di forme della metamorfosi e, passando per l’irrigidimento della maschera, raggiunge il diniego e la sottrazione dell’antimutamento, Elias Canetti, all’interno del suo grande polittico sulla massa e il potere, si sofferma su un’antica leggenda indiana e di lì prende le mosse per ricostruire la figura che indica “simulazione”, “camuffamento”, “mascheramento”, “travestimento”, “finzione”, “contraffazione”. A illustrare il significato genuino della “configurazione” amichevole nella quale se ne nasconde una nemica, Canetti riferisce e commenta la storia intitolata all’Asino nella pelle di tigre. In termini conoscitivi, con “l’animale come figura di pensiero” siamo in una zona attigua alla propensione blumenberghiana a contornare la dimensione inconcettuale del pensiero attraverso le immagini, le storie e gli aneddoti e a ridefinire con l’asindotica riemergenza della “pensosità” l’interrogazione su ciò che ci è più proprio come esseri umani. La radicalità del gesto canettiano irride la tradizione dell’arte della prudenza e si concentra sulla dimensione creaturale dell’epilogo che l’aneddoto ci mette in evidenza. La fine brutale della creatura ignara ingannata dal potente – la moneta corrente del potere è la minaccia di morte – che uccide la possibilità di metamorfosi insieme all’animale, così come si serve della pelle d’asino e perverte nella caccia l’uso metamorfico e l’antico rituale sciamanico di indossare una pelle animale per entrare nel regno dei morti , ci spinge in conclusione ad avvertire tutto il pathos etico e aisthetico, il “più vita” che emerge con forza a Marrakesch, nella paradossale e non consolatoria coincidentia oppositorum dell’esplosione erotica nonostante tutto di “quella miserabile, vecchia, debole creatura”.

“Pensa per animali, come altri per concetti”. Elias Canetti e l’asino travestito da tigre

andrea borsari
2018

Abstract

Lungo il confine che va dalla plasticità e fluidità di forme della metamorfosi e, passando per l’irrigidimento della maschera, raggiunge il diniego e la sottrazione dell’antimutamento, Elias Canetti, all’interno del suo grande polittico sulla massa e il potere, si sofferma su un’antica leggenda indiana e di lì prende le mosse per ricostruire la figura che indica “simulazione”, “camuffamento”, “mascheramento”, “travestimento”, “finzione”, “contraffazione”. A illustrare il significato genuino della “configurazione” amichevole nella quale se ne nasconde una nemica, Canetti riferisce e commenta la storia intitolata all’Asino nella pelle di tigre. In termini conoscitivi, con “l’animale come figura di pensiero” siamo in una zona attigua alla propensione blumenberghiana a contornare la dimensione inconcettuale del pensiero attraverso le immagini, le storie e gli aneddoti e a ridefinire con l’asindotica riemergenza della “pensosità” l’interrogazione su ciò che ci è più proprio come esseri umani. La radicalità del gesto canettiano irride la tradizione dell’arte della prudenza e si concentra sulla dimensione creaturale dell’epilogo che l’aneddoto ci mette in evidenza. La fine brutale della creatura ignara ingannata dal potente – la moneta corrente del potere è la minaccia di morte – che uccide la possibilità di metamorfosi insieme all’animale, così come si serve della pelle d’asino e perverte nella caccia l’uso metamorfico e l’antico rituale sciamanico di indossare una pelle animale per entrare nel regno dei morti , ci spinge in conclusione ad avvertire tutto il pathos etico e aisthetico, il “più vita” che emerge con forza a Marrakesch, nella paradossale e non consolatoria coincidentia oppositorum dell’esplosione erotica nonostante tutto di “quella miserabile, vecchia, debole creatura”.
2018
Francisco Jarauta en las Fronteras de Babel
66
82
andrea borsari
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