Nel 1973, in conseguenza del primo shock petrolifero, il governo tedesco decise di risolvere le contraddizioni dovute al crescente numero di Gastarbeiter (lavoratori-ospiti) revocando i contratti per il reclutamento di manodopera straniera che aveva stretto a partire dalla metà degli anni ’50 con i paesi dell’Europa meridionale (Italia, Spagna, Portogallo) e la Turchia. Questo atto ha avuto conseguenze molto dolorose per gli immigrati che vivevano lì già da anni e per quelli in procinto di trasferirvisi: il rallentamento dell’economia e la sospensione del reclutamento di manodopera da altri paesi hanno fatto sì che la figura dello straniero venisse sovrapposta allo spettro della disoccupazione. La minoranza turca, la più numerosa sul territorio tedesco e la meno integrata, diventò il capro espiatorio privilegiato del disagio che stava vivendo l’opinione pubblica tedesca, la quale ha reagito, manifestando espressioni di razzismo, discriminazione, isolamento e stigma. Di converso, proprio per non soccombere a questo malessere, gli anni ‘80 hanno rappresentato l’epoca di maggior fioritura della letteratura migrante ‘militante’ e di ‘auto-terapia’, che diventa oggetto di riflessione congiunta tra gli scrittori di origine straniera e i circoli intellettuali e politici della scena alternativa delle principali città tedesche. Il primo capitolo presenta una riflessione sulle connessioni esistenti tra letteratura, pedagogia e pensiero narrativo, con un accenno specifico al significato pedagogico della narrazione di sé nella migrazione, tra esperienza di autocura e orizzonti di resistenza, mettendo in rilievo come la scrittura autobiografica si inserisca nella storia della cultura umana, in quanto assume anche compiti di natura sociale e di trasmissione memoriale. Il capitolo cerca di annodare esplicitamente i fili del discorso letterario con quello pedagogico, proponendo un accesso alla letteratura migrante come strumento mediatore in grado di stimolare la conoscenza, la comprensione, l’incontro e il dialogo interculturale. In quest’ottica il testo diventa occasione per proporre percorsi ed esperienze di decentramento nel lettore e al tempo stesso strumento di riflessione identitaria. In questo modo, arricchendola con le sfumature delle piccole ma numerose storie individuali ‘altre’, la letteratura si libera dalla sua ottica nazionale e si apre a temi e concetti contemporanei la cui conoscenza razionale ed emotiva aiuta a decostruire quegli stereotipi e quei pregiudizi che rischiano di minare a priori la possibilità dell’incontro con il ‘diverso’ da noi. Il secondo capitolo offre un inquadramento della migrazione nella società tedesca dell’epoca nel tentativo di decifrare le politiche e i discorsi che hanno accompagnato l’arrivo della manodopera straniera nel secondo dopoguerra. Interrogandosi su cosa ha rappresentato per la popolazione tedesca, da un lato, e per i migranti, dall’altro. In special modo, viene analizzata l’interpretazione dei concetti di integrazione, assimilazione e stigmatizzazione, così come riportati nella stampa e nei pronunciamenti dei politici dell’epoca. Un tema altrettanto importante riguarda le ricadute dell’interpretazione di questi concetti sui processi di integrazione dei figli dei lavoratori turchi, che si sono trovati ad affrontare e gestire trent’anni fa pressoché le stesse dinamiche psicologiche e sociali che oggi affrontano le seconde generazioni in Italia, come si evidenzia dai loro scritti in lingua italiana. In questa cornice, vedremo poi come i migranti iniziano a proporsi sulla scena culturale tedesca. Il terzo capitolo, che contestualizza il lavoro empirico sui testi, illustra, principalmente tramite la voce e i commenti degli intellettuali e degli scrittori migranti, le origini di questa letteratura che elabora i retroscena dell’emigrazione, ma soprattutto le condizioni, le esperienze e le emozioni dei lavoratori stranieri una volta arrivati in Germania. Dove possibile, visto il carattere episodico e frammentario con cui la critica autoctona ha accolto i nuovi scrittori, il capitolo presenta in maniera contrastiva i giudizi e le interpretazioni di entrambi per illustrare le controversie a cui dava adito il ‘fenomeno’, chi fossero gli scrittori e quali case editrici pubblicassero i loro libri, la lingua letteraria e la sua funzione programmatica, i temi predominanti, gli obiettivi estetico-formali degli autori, ma soprattutto la mission di questi testi nell’opinione degli scrittori e della critica letteraria tedesca. Poiché le antologie e le riviste, che rappresentano il principale forum per questo genere letterario, ospitano scritti di autori di diverse nazionalità, in questo capitolo considereremo il fenomeno nel suo complesso, mettendo in luce il dibattito interno sia agli scrittori migranti sia alla critica letteraria tedesca sul valore socio-pedagogico e didattico di questa letteratura che doveva, secondo alcuni, o non doveva, secondo altri, prestare attenzione alle questioni di forma o di stile. Il quarto capitolo si concentra specificatamente sulle opere prodotte dagli scrittori turchi nella R.F.T. operando una distinzione tra quelli della prima e quelli della seconda generazione, che alla ricerca di una propria identità operano un metaforico viaggio verso le radici della famiglia o lo sradicamento chirurgico delle stesse. La produzione letteraria migrante è trattata nell’ottica bifocale suggerita da Sayad (2002): quella di coloro che scrivono in tedesco nella R.F.T sugli effetti e le emozioni della loro esperienze di allontanamento e quella di coloro che in Turchia descrivono gli esiti sociali e individuali di quell’esodo di massa per le famiglie rimaste in patria. Il quinto capitolo analizza le tematiche affrontate dalle scrittrici, nelle cui opere si rispecchiano le pressioni normative di due culture contrapposte e i tentativi individuali di ricerca di identità e i percorsi di emancipazione sperimentati. Come nel caso dei loro colleghi uomini, la prospettiva e le tematiche affrontate cambiano tra la prima e la seconda generazione e in quest’ultimo caso i loro testi sembrano anticipare le poetiche di Igiaba Scego, Gabriella Kuruvilla e Randa Ghazy in Italia Il sesto capitolo si concentra invece sull’approccio pedagogico, latente o esplicito, che tre tra gli autori più significativi e longevi della letteratura migrante (Aras Ören, Sinasi Dikmen e Aysel Özakin) adottano nelle loro opere, sia in termini individuali, come processo di cura e formazione di sé, sia in termini di resistenza collettiva alla condizione di minorità vissuta dalle comunità migranti nella società di accoglienza. I tre autori sono rappresentativi di situazioni, atteggiamenti e riflessioni migratorie diverse. Tre diverse attitudini esistenziali e di impegno che si specchiano in codici e generi specifici: il poema epico per Ören, la satira per Dikmen e il romanzo diaristico introspettivo della Özakin. I criteri su cui si concentra l’analisi riguardano le tematiche, l’elaborazione letteraria del testo, la sua funzione, le intenzioni degli autori e le recensioni della critica. Il settimo capitolo risulta speculare al terzo capitolo in quanto mette a confronto l’emergere e l’evoluzione della letteratura migrante turca, che nel frattempo si è guadagnata il titolo di ‘tedesco-turca’, con quanto si evidenzia nella letteratura italiana di origine migrante, nelle esitazioni e nei tentavi di denominazione, nella ricezione dell’opera e nelle intenzioni degli autori. La grandissima valenza pedagogica che questa letteratura riveste per l’incontro e le possibilità di scambio culturale reciproco, non deve però far passare sotto silenzio la richiesta che i narratori e poeti italiani della seconda generazione ci pongono. Come avevano fatto a suo tempo quelli turco-tedeschi, ora i nostri italo-somali, italo-albanesi, italo-arabi, italo-brasiliani chiedono alla critica letteraria e a noi lettori di smettere di adottare un approccio da ‘riserva indiana’ quando ci avviciniamo alle loro opere: ci chiedono di mettere da parte le aspettative di natura pedagogica o sociologica e di accostarci a loro con uno sguardo aperto, senza aprioristiche attese contenutistiche per farci sorprendere (o meno) esclusivamente dalla qualità letteraria di quello che stiamo leggendo. Solo allora acquisirà senso quella cittadinanza che reclamano a gran voce anche in ambito letterario, facendo poi sperare che in tempi non remoti parleremo solo di scrittori italiani, senza ulteriori specifiche.

Pedagogia e letteratura della migrazione. Sguardi sulla scrittura che cura e resiste / Cuconato, Morena. - STAMPA. - (2017), pp. 1-224.

Pedagogia e letteratura della migrazione. Sguardi sulla scrittura che cura e resiste

Morena Cuconato
2017

Abstract

Nel 1973, in conseguenza del primo shock petrolifero, il governo tedesco decise di risolvere le contraddizioni dovute al crescente numero di Gastarbeiter (lavoratori-ospiti) revocando i contratti per il reclutamento di manodopera straniera che aveva stretto a partire dalla metà degli anni ’50 con i paesi dell’Europa meridionale (Italia, Spagna, Portogallo) e la Turchia. Questo atto ha avuto conseguenze molto dolorose per gli immigrati che vivevano lì già da anni e per quelli in procinto di trasferirvisi: il rallentamento dell’economia e la sospensione del reclutamento di manodopera da altri paesi hanno fatto sì che la figura dello straniero venisse sovrapposta allo spettro della disoccupazione. La minoranza turca, la più numerosa sul territorio tedesco e la meno integrata, diventò il capro espiatorio privilegiato del disagio che stava vivendo l’opinione pubblica tedesca, la quale ha reagito, manifestando espressioni di razzismo, discriminazione, isolamento e stigma. Di converso, proprio per non soccombere a questo malessere, gli anni ‘80 hanno rappresentato l’epoca di maggior fioritura della letteratura migrante ‘militante’ e di ‘auto-terapia’, che diventa oggetto di riflessione congiunta tra gli scrittori di origine straniera e i circoli intellettuali e politici della scena alternativa delle principali città tedesche. Il primo capitolo presenta una riflessione sulle connessioni esistenti tra letteratura, pedagogia e pensiero narrativo, con un accenno specifico al significato pedagogico della narrazione di sé nella migrazione, tra esperienza di autocura e orizzonti di resistenza, mettendo in rilievo come la scrittura autobiografica si inserisca nella storia della cultura umana, in quanto assume anche compiti di natura sociale e di trasmissione memoriale. Il capitolo cerca di annodare esplicitamente i fili del discorso letterario con quello pedagogico, proponendo un accesso alla letteratura migrante come strumento mediatore in grado di stimolare la conoscenza, la comprensione, l’incontro e il dialogo interculturale. In quest’ottica il testo diventa occasione per proporre percorsi ed esperienze di decentramento nel lettore e al tempo stesso strumento di riflessione identitaria. In questo modo, arricchendola con le sfumature delle piccole ma numerose storie individuali ‘altre’, la letteratura si libera dalla sua ottica nazionale e si apre a temi e concetti contemporanei la cui conoscenza razionale ed emotiva aiuta a decostruire quegli stereotipi e quei pregiudizi che rischiano di minare a priori la possibilità dell’incontro con il ‘diverso’ da noi. Il secondo capitolo offre un inquadramento della migrazione nella società tedesca dell’epoca nel tentativo di decifrare le politiche e i discorsi che hanno accompagnato l’arrivo della manodopera straniera nel secondo dopoguerra. Interrogandosi su cosa ha rappresentato per la popolazione tedesca, da un lato, e per i migranti, dall’altro. In special modo, viene analizzata l’interpretazione dei concetti di integrazione, assimilazione e stigmatizzazione, così come riportati nella stampa e nei pronunciamenti dei politici dell’epoca. Un tema altrettanto importante riguarda le ricadute dell’interpretazione di questi concetti sui processi di integrazione dei figli dei lavoratori turchi, che si sono trovati ad affrontare e gestire trent’anni fa pressoché le stesse dinamiche psicologiche e sociali che oggi affrontano le seconde generazioni in Italia, come si evidenzia dai loro scritti in lingua italiana. In questa cornice, vedremo poi come i migranti iniziano a proporsi sulla scena culturale tedesca. Il terzo capitolo, che contestualizza il lavoro empirico sui testi, illustra, principalmente tramite la voce e i commenti degli intellettuali e degli scrittori migranti, le origini di questa letteratura che elabora i retroscena dell’emigrazione, ma soprattutto le condizioni, le esperienze e le emozioni dei lavoratori stranieri una volta arrivati in Germania. Dove possibile, visto il carattere episodico e frammentario con cui la critica autoctona ha accolto i nuovi scrittori, il capitolo presenta in maniera contrastiva i giudizi e le interpretazioni di entrambi per illustrare le controversie a cui dava adito il ‘fenomeno’, chi fossero gli scrittori e quali case editrici pubblicassero i loro libri, la lingua letteraria e la sua funzione programmatica, i temi predominanti, gli obiettivi estetico-formali degli autori, ma soprattutto la mission di questi testi nell’opinione degli scrittori e della critica letteraria tedesca. Poiché le antologie e le riviste, che rappresentano il principale forum per questo genere letterario, ospitano scritti di autori di diverse nazionalità, in questo capitolo considereremo il fenomeno nel suo complesso, mettendo in luce il dibattito interno sia agli scrittori migranti sia alla critica letteraria tedesca sul valore socio-pedagogico e didattico di questa letteratura che doveva, secondo alcuni, o non doveva, secondo altri, prestare attenzione alle questioni di forma o di stile. Il quarto capitolo si concentra specificatamente sulle opere prodotte dagli scrittori turchi nella R.F.T. operando una distinzione tra quelli della prima e quelli della seconda generazione, che alla ricerca di una propria identità operano un metaforico viaggio verso le radici della famiglia o lo sradicamento chirurgico delle stesse. La produzione letteraria migrante è trattata nell’ottica bifocale suggerita da Sayad (2002): quella di coloro che scrivono in tedesco nella R.F.T sugli effetti e le emozioni della loro esperienze di allontanamento e quella di coloro che in Turchia descrivono gli esiti sociali e individuali di quell’esodo di massa per le famiglie rimaste in patria. Il quinto capitolo analizza le tematiche affrontate dalle scrittrici, nelle cui opere si rispecchiano le pressioni normative di due culture contrapposte e i tentativi individuali di ricerca di identità e i percorsi di emancipazione sperimentati. Come nel caso dei loro colleghi uomini, la prospettiva e le tematiche affrontate cambiano tra la prima e la seconda generazione e in quest’ultimo caso i loro testi sembrano anticipare le poetiche di Igiaba Scego, Gabriella Kuruvilla e Randa Ghazy in Italia Il sesto capitolo si concentra invece sull’approccio pedagogico, latente o esplicito, che tre tra gli autori più significativi e longevi della letteratura migrante (Aras Ören, Sinasi Dikmen e Aysel Özakin) adottano nelle loro opere, sia in termini individuali, come processo di cura e formazione di sé, sia in termini di resistenza collettiva alla condizione di minorità vissuta dalle comunità migranti nella società di accoglienza. I tre autori sono rappresentativi di situazioni, atteggiamenti e riflessioni migratorie diverse. Tre diverse attitudini esistenziali e di impegno che si specchiano in codici e generi specifici: il poema epico per Ören, la satira per Dikmen e il romanzo diaristico introspettivo della Özakin. I criteri su cui si concentra l’analisi riguardano le tematiche, l’elaborazione letteraria del testo, la sua funzione, le intenzioni degli autori e le recensioni della critica. Il settimo capitolo risulta speculare al terzo capitolo in quanto mette a confronto l’emergere e l’evoluzione della letteratura migrante turca, che nel frattempo si è guadagnata il titolo di ‘tedesco-turca’, con quanto si evidenzia nella letteratura italiana di origine migrante, nelle esitazioni e nei tentavi di denominazione, nella ricezione dell’opera e nelle intenzioni degli autori. La grandissima valenza pedagogica che questa letteratura riveste per l’incontro e le possibilità di scambio culturale reciproco, non deve però far passare sotto silenzio la richiesta che i narratori e poeti italiani della seconda generazione ci pongono. Come avevano fatto a suo tempo quelli turco-tedeschi, ora i nostri italo-somali, italo-albanesi, italo-arabi, italo-brasiliani chiedono alla critica letteraria e a noi lettori di smettere di adottare un approccio da ‘riserva indiana’ quando ci avviciniamo alle loro opere: ci chiedono di mettere da parte le aspettative di natura pedagogica o sociologica e di accostarci a loro con uno sguardo aperto, senza aprioristiche attese contenutistiche per farci sorprendere (o meno) esclusivamente dalla qualità letteraria di quello che stiamo leggendo. Solo allora acquisirà senso quella cittadinanza che reclamano a gran voce anche in ambito letterario, facendo poi sperare che in tempi non remoti parleremo solo di scrittori italiani, senza ulteriori specifiche.
2017
224
978-88-430-9038-9
Pedagogia e letteratura della migrazione. Sguardi sulla scrittura che cura e resiste / Cuconato, Morena. - STAMPA. - (2017), pp. 1-224.
Cuconato, Morena
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/611478
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