Il libro "Decostruire l’immaginario femminile. Percorsi educativi per vecchie e nuove forme di condizionamento culturale", curato da Anna Grazia Lopez, si apre con il saggio di Stefania Lorenzini "Il colore rosa. Potere e problemi di un simbolo del femminile". Il contributo analizza il significato culturale dei colori. Già in passato ci raccontava del significato simbolico dell’utilizzo del colore rosa e di quello azzurro per identificare femmine e maschi Elena Gianini Belotti nel suo Dalla parte delle bambine; oggi lo fa la Lorenzini che sottolinea come questa stereotipizzazione dei colori sia particolarmente evidente nelle bambine per le quali il rosa si è trasformato in un «marcatore identitario». L’idea del colore come segno distintivo per identificare il genere nasce recentemente, nel corso del XIX secolo, e lo ritroviamo in Piccole donne di Louise May Alcott. In realtà ai tempi della Alcott il rosa poteva essere associato sia ai maschi che alle femmine. Anzi il rosa veniva considerato un colore più forte del celeste e per questo si riteneva fosse più adatto a rappresentare i maschi. È dopo la seconda guerra mondiale, scrive la Lorenzini, e in particolare negli anni Cinquanta, che avviene questa «assegnazione dei colori» sin dalla nascita: si pensi al fiocco che annuncia la nascita, per arrivare al colore delle camerette, ai giocattoli, agli abiti. Il rosa, in altre parole, rappresenta uno strumento di riconoscimento che marca le differenze tra uomini e donne: dal rosa e dal blu del colore delle pillole, al Presidio rosa, alla Linea rosa che sostiene le donne vittime di violenza, al rosa del codice del percorso assegnato alle donne vittime di violenza negli ospedali, al rosa della letteratura rosa che trova diffusione negli anni Settanta, e che è ritenuta una letteratura per sole donne, perché si parla di sentimenti e, per la prima volta, di desiderio femminile, laddove il desiderio maschile viene invece accettato e condiviso e non solo nella letteratura. Al rosa delle Quote rosa ovvero quella «parte del tutto» destinata alle donne in ambito lavorativo così come in quello politico e che non fanno altro che nascondere l’atteggiamento paternalistico delle istituzioni, per cui affermare la presenza di “quote” destinate alle donne ci da l’idea che la partecipazione delle donne è un modo di concedere, scrive la Lorenzini, «piccole dosi di diritti negati a favore dei privilegi di alcuni». Questa identificazione con il colore rosa spesso è una scelta delle stesse donne che lo utilizzano come loro simbolo. Ad esempio, l’autrice ci racconta della Marcia rosa che si è tenuta a Washington contro il neo eletto presidente Donald Trump o della manifestazione che si è tenuta a livello mondiale l’8 marzo dove le donne hanno manifestato contro la disuguaglianza e la violenza maschile utilizzando dei copricapo rosa e manifesti di colore rosa. Ci rendiamo conto, a partire da quanto detto, di come il colore abbia assunto una funzione identitaria perché mostra agli altri che si è femmine e dunque che si hanno “determinate” caratteristiche. La questione è che i tratti rappresentativi il femminile spesso sono denigranti. In altre parole, l’associazione con il colore rosa presenta un giudizio di valore. Allora, cosa fare? Si suggerisce di creare occasioni per rendere le ragazze e i ragazzi consapevoli che le “virtù” attribuite generalmente alle donne, come l’empatia, l’ascolto, la cura non sono solo femminili ma sono modi di essere che appartengono all’umano, senza distinzione di sesso e… di colore.

Il colore rosa. Potere e problemi di un simbolo del femminile.

Stefania Lorenzini
2017

Abstract

Il libro "Decostruire l’immaginario femminile. Percorsi educativi per vecchie e nuove forme di condizionamento culturale", curato da Anna Grazia Lopez, si apre con il saggio di Stefania Lorenzini "Il colore rosa. Potere e problemi di un simbolo del femminile". Il contributo analizza il significato culturale dei colori. Già in passato ci raccontava del significato simbolico dell’utilizzo del colore rosa e di quello azzurro per identificare femmine e maschi Elena Gianini Belotti nel suo Dalla parte delle bambine; oggi lo fa la Lorenzini che sottolinea come questa stereotipizzazione dei colori sia particolarmente evidente nelle bambine per le quali il rosa si è trasformato in un «marcatore identitario». L’idea del colore come segno distintivo per identificare il genere nasce recentemente, nel corso del XIX secolo, e lo ritroviamo in Piccole donne di Louise May Alcott. In realtà ai tempi della Alcott il rosa poteva essere associato sia ai maschi che alle femmine. Anzi il rosa veniva considerato un colore più forte del celeste e per questo si riteneva fosse più adatto a rappresentare i maschi. È dopo la seconda guerra mondiale, scrive la Lorenzini, e in particolare negli anni Cinquanta, che avviene questa «assegnazione dei colori» sin dalla nascita: si pensi al fiocco che annuncia la nascita, per arrivare al colore delle camerette, ai giocattoli, agli abiti. Il rosa, in altre parole, rappresenta uno strumento di riconoscimento che marca le differenze tra uomini e donne: dal rosa e dal blu del colore delle pillole, al Presidio rosa, alla Linea rosa che sostiene le donne vittime di violenza, al rosa del codice del percorso assegnato alle donne vittime di violenza negli ospedali, al rosa della letteratura rosa che trova diffusione negli anni Settanta, e che è ritenuta una letteratura per sole donne, perché si parla di sentimenti e, per la prima volta, di desiderio femminile, laddove il desiderio maschile viene invece accettato e condiviso e non solo nella letteratura. Al rosa delle Quote rosa ovvero quella «parte del tutto» destinata alle donne in ambito lavorativo così come in quello politico e che non fanno altro che nascondere l’atteggiamento paternalistico delle istituzioni, per cui affermare la presenza di “quote” destinate alle donne ci da l’idea che la partecipazione delle donne è un modo di concedere, scrive la Lorenzini, «piccole dosi di diritti negati a favore dei privilegi di alcuni». Questa identificazione con il colore rosa spesso è una scelta delle stesse donne che lo utilizzano come loro simbolo. Ad esempio, l’autrice ci racconta della Marcia rosa che si è tenuta a Washington contro il neo eletto presidente Donald Trump o della manifestazione che si è tenuta a livello mondiale l’8 marzo dove le donne hanno manifestato contro la disuguaglianza e la violenza maschile utilizzando dei copricapo rosa e manifesti di colore rosa. Ci rendiamo conto, a partire da quanto detto, di come il colore abbia assunto una funzione identitaria perché mostra agli altri che si è femmine e dunque che si hanno “determinate” caratteristiche. La questione è che i tratti rappresentativi il femminile spesso sono denigranti. In altre parole, l’associazione con il colore rosa presenta un giudizio di valore. Allora, cosa fare? Si suggerisce di creare occasioni per rendere le ragazze e i ragazzi consapevoli che le “virtù” attribuite generalmente alle donne, come l’empatia, l’ascolto, la cura non sono solo femminili ma sono modi di essere che appartengono all’umano, senza distinzione di sesso e… di colore.
2017
Decostruire l'immaginario femminile. Percorsi educativi per vecchie e nuove forme di condizionamento culturale
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Lorenzini, Stefania
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/610207
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