La traiettoria seguita dall’Italia nella costruzione dello Stato di diritto e, successivamente, di un sistema politico governato con metodo democratico, si caratterizza per la persistente resistenza rivolta contro l’opzione di un centro di governo forte, al quale assegnare la guida, la garanzia e la responsabilità dei processi di policy making e dei processi di cambiamento che hanno luogo nel settore pubblico. Un tratto, questo, che connota in modo particolarmente significativo anche il sistema “giustizia” all’interno del quale il centro creato dalla costituzione repubblicana é composto di due attori istituzionali, il Consiglio superiore della magistratura e il ministro della Giustizia, a capo della articolazione centrale del ministero (il ministro della Giustizia è l’unico ministro ad essere indicato nel testo della costituzione). Nel corso dei decenni la debolezza del centro è andata coniugandosi con il progressivo aumento delle iniziative di policy prese dagli uffici giudiziari per fare fronte alle diverse esigenze di carattere funzionale. In assenza di un centro capace di fornire un quadro entro cui situare tali iniziative il principio stesso dello Stato di diritto, ossia di una eguaglianza dei cittadini dinnanzi al servizio reso dal sistema “giustizia” si trova ad essere sotto pressione. Soltanto di recente si è assistito ad un cambiamento, scaturito da una ripresa dell’iniziativa da parte del centro ed in particolare da parte del ministero della Giustizia e volto a ripristinare le capacità di steering e di regolazione pur in un quadro organizzativo caratterizzato da ampi margini di manovra da parte degli uffici giudiziari. Questo articolo affronta sia sotto il profilo diacronico sia sotto il profilo strategico e funzionale questi temi e riflette sulle capacità di governare il cambiamento di cui oggi il “centro” è dotato e di cui ha bisogno.

Dal centro disperso al centro ritrovato? Riflessioni a partire dalle riforme della giustizia in Italia

PIANA, DANIELA;VERZELLONI, LUCA
2016

Abstract

La traiettoria seguita dall’Italia nella costruzione dello Stato di diritto e, successivamente, di un sistema politico governato con metodo democratico, si caratterizza per la persistente resistenza rivolta contro l’opzione di un centro di governo forte, al quale assegnare la guida, la garanzia e la responsabilità dei processi di policy making e dei processi di cambiamento che hanno luogo nel settore pubblico. Un tratto, questo, che connota in modo particolarmente significativo anche il sistema “giustizia” all’interno del quale il centro creato dalla costituzione repubblicana é composto di due attori istituzionali, il Consiglio superiore della magistratura e il ministro della Giustizia, a capo della articolazione centrale del ministero (il ministro della Giustizia è l’unico ministro ad essere indicato nel testo della costituzione). Nel corso dei decenni la debolezza del centro è andata coniugandosi con il progressivo aumento delle iniziative di policy prese dagli uffici giudiziari per fare fronte alle diverse esigenze di carattere funzionale. In assenza di un centro capace di fornire un quadro entro cui situare tali iniziative il principio stesso dello Stato di diritto, ossia di una eguaglianza dei cittadini dinnanzi al servizio reso dal sistema “giustizia” si trova ad essere sotto pressione. Soltanto di recente si è assistito ad un cambiamento, scaturito da una ripresa dell’iniziativa da parte del centro ed in particolare da parte del ministero della Giustizia e volto a ripristinare le capacità di steering e di regolazione pur in un quadro organizzativo caratterizzato da ampi margini di manovra da parte degli uffici giudiziari. Questo articolo affronta sia sotto il profilo diacronico sia sotto il profilo strategico e funzionale questi temi e riflette sulle capacità di governare il cambiamento di cui oggi il “centro” è dotato e di cui ha bisogno.
2016
Piana, Daniela; Verzelloni, Luca
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/599779
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