Per la facilità con cui era possibile organizzarne gli incontri, per la capacità di attrarre pubblico e di autofinanziarsi (anche attraverso le scommesse), il pugilato fu probabilmente lo sport più praticato in Europa nel corso della Seconda guerra mondiale. L’International Boxing Union (IBU) – finito fin dalla fine degli anni Trenta sotto il controllo dei paesi dell’Asse e poi sostituito nel 1942 dall’Associazione Europea Professionistica di Pugilato (APPE) – continuò a organizzare incontri internazionali anche durante la guerra. Il pugilato era poi assai diffuso anche all’interno degli eserciti, come dimostrano i numerosi tornei interalleati o la tournée di Joe Louis in Europa a supporto delle truppe americane. A livello istituzionale, più che l’inizio, fu la fine della guerra a rappresentare dunque una cesura nella storia del pugilato internazionale. I tentativi di riattivare l’IBU, infatti, vennero bloccati dall’alleanza fra la federazione pugilistica francese e quella britannica le quali, volendo riprendersi il controllo della disciplina, diedero vita all’European Boxing Union. Una situazione analoga si ebbe anche a livello dilettantistico con la trasformazione della Fédération Internationale de Boxe Amateur in Amateur International Boxing Association. Anche le relazioni pugilistiche bilaterali (sia a livello professionistico, sia dilettantistico) seguirono l’esito della guerra e le sue alleanze, coinvolgendo i paesi vincitori e neutrali ma ostracizzando (più o meno duramente) i vinti. L’Italia, “fascista” prima, “cobelligerante” poi, faticava a rientrare in una di queste tre categorie. In ogni caso i pugili italiani faticarono non poco a riprendere l’attività internazionale e per diversi mesi furono vittime – da parte di diversi paesi – di una quarantena a geografia variabile che impedì loro una rapida ripresa. L’obiettivo di questo saggio è quello di ripercorre la ripresa dell’attività internazionale del pugilato italiano dalla liberazione di Roma alla firma del trattato di pace, approfondendo nello specifico tre aspetti. (1) La rapida ripresa degli incontri fra pugili italiani e pugili militari alleati, che però si sviluppò in parallelo all’esclusione dei militari italiani dai tornei interalleati. (2) Il ruolo dell’Italia nel tentativo di riscostruire l’IBU, e le relative difficoltà nell’entrare nell’EBA. (3) Quali paesi aprirono rapidamente e quali invece boicottarono inizialmente le relazioni pugilistiche bilaterali con l’Italia; cercando di evidenziare quanto queste decisioni fossero influenzate da criteri “sportivi”, “geografico-logistici” o “politici”.

La diplomazia del Ring. La ripresa internazionale del pugilato italiano dopo il fascismo (1943-1948)

SBETTI, NICOLA
2016

Abstract

Per la facilità con cui era possibile organizzarne gli incontri, per la capacità di attrarre pubblico e di autofinanziarsi (anche attraverso le scommesse), il pugilato fu probabilmente lo sport più praticato in Europa nel corso della Seconda guerra mondiale. L’International Boxing Union (IBU) – finito fin dalla fine degli anni Trenta sotto il controllo dei paesi dell’Asse e poi sostituito nel 1942 dall’Associazione Europea Professionistica di Pugilato (APPE) – continuò a organizzare incontri internazionali anche durante la guerra. Il pugilato era poi assai diffuso anche all’interno degli eserciti, come dimostrano i numerosi tornei interalleati o la tournée di Joe Louis in Europa a supporto delle truppe americane. A livello istituzionale, più che l’inizio, fu la fine della guerra a rappresentare dunque una cesura nella storia del pugilato internazionale. I tentativi di riattivare l’IBU, infatti, vennero bloccati dall’alleanza fra la federazione pugilistica francese e quella britannica le quali, volendo riprendersi il controllo della disciplina, diedero vita all’European Boxing Union. Una situazione analoga si ebbe anche a livello dilettantistico con la trasformazione della Fédération Internationale de Boxe Amateur in Amateur International Boxing Association. Anche le relazioni pugilistiche bilaterali (sia a livello professionistico, sia dilettantistico) seguirono l’esito della guerra e le sue alleanze, coinvolgendo i paesi vincitori e neutrali ma ostracizzando (più o meno duramente) i vinti. L’Italia, “fascista” prima, “cobelligerante” poi, faticava a rientrare in una di queste tre categorie. In ogni caso i pugili italiani faticarono non poco a riprendere l’attività internazionale e per diversi mesi furono vittime – da parte di diversi paesi – di una quarantena a geografia variabile che impedì loro una rapida ripresa. L’obiettivo di questo saggio è quello di ripercorre la ripresa dell’attività internazionale del pugilato italiano dalla liberazione di Roma alla firma del trattato di pace, approfondendo nello specifico tre aspetti. (1) La rapida ripresa degli incontri fra pugili italiani e pugili militari alleati, che però si sviluppò in parallelo all’esclusione dei militari italiani dai tornei interalleati. (2) Il ruolo dell’Italia nel tentativo di riscostruire l’IBU, e le relative difficoltà nell’entrare nell’EBA. (3) Quali paesi aprirono rapidamente e quali invece boicottarono inizialmente le relazioni pugilistiche bilaterali con l’Italia; cercando di evidenziare quanto queste decisioni fossero influenzate da criteri “sportivi”, “geografico-logistici” o “politici”.
2016
Storia e sviluppi della disciplina del pugilato in Italia
117
123
Sbetti, Nicola
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/580385
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