La cosiddetta “posa bulb” è la possibilità che ha il fotografo di rallentare i tempi dello scatto quando ha necessità di utilizzare una tempo di posa molto lungo. Partendo da questo riferimento tecnico tipico del linguaggio fotografico, il saggio mette a confronto due esperienze legate ai tempi lunghi di posa in relazione a una comune poetica basata da un lato su un forte accento performativo e relazionale tra fotografo e soggetto, e dall’altro da un processo di emersione della maschera identitaria del soggetto ritratto. Le due esperienze prese ad esempio saranno le prime sessioni fotografiche manicomiali ottocentesche della Salpêtrière, sotto la guida di Jean-Martin Charcot, e gli scatti freaks di Diane Arbus nella New York degli anni Sessanta. Si tratta di esperienze di ritrattistica che faticano ad essere riconosciute dentro a categorie classiche, e che si posizionano piuttosto in una sorta di territorio borderline rispetto a queste. Sono inoltre due vicende che, anche se in modo diverso, sono legate a mondi a parte, speciali, non convenzionali (di serie B potremmo dire), capaci di mettere in campo una femminilità queer, sia davanti che dietro l’obiettivo, e che per questo hanno sollevato polemiche e curiosità, attrazione e repulsione, distanza e immedesimazione, identificazione e alienazione.

Il tempo lento della fotografia e l'emersione della maschera

MUZZARELLI, FEDERICA
2016

Abstract

La cosiddetta “posa bulb” è la possibilità che ha il fotografo di rallentare i tempi dello scatto quando ha necessità di utilizzare una tempo di posa molto lungo. Partendo da questo riferimento tecnico tipico del linguaggio fotografico, il saggio mette a confronto due esperienze legate ai tempi lunghi di posa in relazione a una comune poetica basata da un lato su un forte accento performativo e relazionale tra fotografo e soggetto, e dall’altro da un processo di emersione della maschera identitaria del soggetto ritratto. Le due esperienze prese ad esempio saranno le prime sessioni fotografiche manicomiali ottocentesche della Salpêtrière, sotto la guida di Jean-Martin Charcot, e gli scatti freaks di Diane Arbus nella New York degli anni Sessanta. Si tratta di esperienze di ritrattistica che faticano ad essere riconosciute dentro a categorie classiche, e che si posizionano piuttosto in una sorta di territorio borderline rispetto a queste. Sono inoltre due vicende che, anche se in modo diverso, sono legate a mondi a parte, speciali, non convenzionali (di serie B potremmo dire), capaci di mettere in campo una femminilità queer, sia davanti che dietro l’obiettivo, e che per questo hanno sollevato polemiche e curiosità, attrazione e repulsione, distanza e immedesimazione, identificazione e alienazione.
2016
F.Muzzarelli
File in questo prodotto:
File Dimensione Formato  
Il tempo lento della fotografia PB.pdf

accesso aperto

Tipo: Versione (PDF) editoriale
Licenza: Licenza per Accesso Aperto. Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo (CCBYNCSA)
Dimensione 1.01 MB
Formato Adobe PDF
1.01 MB Adobe PDF Visualizza/Apri

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/575587
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact