L’estensione del patrimonio immobiliare della Chiesa di Ravenna e la diversità delle colture dei suoi terreni offrono un interessante modello di gestione fondiaria di un vasto ed eterogeneo patrimonio. I papiri più antichi, pubblicati in ultimo da Tjäder, risalgono alla seconda metà del V secolo. Ad una prima analisi, poiché nel Codice Teodosiano, così come a noi noto, non vi sono costituzioni specificatamente dedicate alla gestione fondiaria ecclesiastica, parrebbero assenti strumenti legislativi di indirizzo in materia. In particolare il secondo libro del sedicesimo titolo “De episcopis, ecclesiis et clericis” si dedica ad altre questioni. La lacuna è, tuttavia, apparente. Se si considera, infatti, che una buona parte del patrimonio delle Chiese deriva dalla res privata, è lecito ipotizzare che le Chiese abbiano mantenuto gli stessi rapporti giuridici con coloro che coltivavano ed amministravano i terreni della casa imperiale e che, dunque, la normativa sulla gestione dei fondi imperiali fosse applicabile anche ai fondi ecclesiastici che, di fatto, erano strutturalmente identici. Lo studio dell’enfiteusi ecclesiastica ravennate, una delle tipologie di amministrazione dei fondi, riaccende la questione della conoscibilità da parte dei tabellioni ravennati delle costituzioni orientali. È noto che tale legislazione fosse conosciuta e non si discute che i formulari per l’enfiteusi della seconda metà del VI e del VII secolo si riferissero in particolare alla Nov. 120 del 544, ma si potrebbe avanzare l’ipotesi che il canale di conoscenza e di trasmissione di questi testi, vista la tempestività con cui sono recepiti, potesse anche non essere quello ufficiale della cancelleria, ma quello “professionale” dei tabellioni di Costantinopoli.

Patrimonio ecclesiastico ravennate, Codice Teodosiano ed i rapporti dei tabellioni con Costantinopoli nei contratti della Chiesa di Ravenna

TAROZZI, SIMONA
2016

Abstract

L’estensione del patrimonio immobiliare della Chiesa di Ravenna e la diversità delle colture dei suoi terreni offrono un interessante modello di gestione fondiaria di un vasto ed eterogeneo patrimonio. I papiri più antichi, pubblicati in ultimo da Tjäder, risalgono alla seconda metà del V secolo. Ad una prima analisi, poiché nel Codice Teodosiano, così come a noi noto, non vi sono costituzioni specificatamente dedicate alla gestione fondiaria ecclesiastica, parrebbero assenti strumenti legislativi di indirizzo in materia. In particolare il secondo libro del sedicesimo titolo “De episcopis, ecclesiis et clericis” si dedica ad altre questioni. La lacuna è, tuttavia, apparente. Se si considera, infatti, che una buona parte del patrimonio delle Chiese deriva dalla res privata, è lecito ipotizzare che le Chiese abbiano mantenuto gli stessi rapporti giuridici con coloro che coltivavano ed amministravano i terreni della casa imperiale e che, dunque, la normativa sulla gestione dei fondi imperiali fosse applicabile anche ai fondi ecclesiastici che, di fatto, erano strutturalmente identici. Lo studio dell’enfiteusi ecclesiastica ravennate, una delle tipologie di amministrazione dei fondi, riaccende la questione della conoscibilità da parte dei tabellioni ravennati delle costituzioni orientali. È noto che tale legislazione fosse conosciuta e non si discute che i formulari per l’enfiteusi della seconda metà del VI e del VII secolo si riferissero in particolare alla Nov. 120 del 544, ma si potrebbe avanzare l’ipotesi che il canale di conoscenza e di trasmissione di questi testi, vista la tempestività con cui sono recepiti, potesse anche non essere quello ufficiale della cancelleria, ma quello “professionale” dei tabellioni di Costantinopoli.
2016
Ravenna Capitale. Codice Teodosiano e tradizioni giuridiche in Occidente. La terra, strumento di arricchimento e sopravvivenza
187
202
Tarozzi, Simona
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