Dopo la morte di Dio, la morte dell'Inconscio. Quale dimora per le pulsioni di vita e per l’esperienza della libertà nel tempo del Nichilismo? Maurizio Fabbri “Dio è morto”, annuncia Nietzsche nell'aforisma 125 della Gaia Scienza: senonché, morto Dio, non è morto il “folle uomo” che lo cercava, e l'umano, di cui Nietzsche sollecitava l'estinzione, non è ancora volto al tramonto. Né è morta la metafisica che di Dio aveva annunciato il pensiero e l'avvento: la morte di Dio non ha provocato la morte della metafisica, ma solo il suo svuotamento. Il Nichilismo è l'età dello “svuotamento”, più che del Disincanto: le illusioni e le categorie fondanti della tradizione, anziché estinguersi, sono divenute parte integrante di una quotidianità in cui l'humanitas non è ancora pronta a prendere congedo da se stessa e si affida ai linguaggi, alle parole del passato. Per dire che cosa? Per ridimensionarne lo spessore, evidenziarne la relatività, certo, ma soprattutto per poterle continuare a pronunciare, perché altre non ne conosce. S'impone un pensiero consolatorio, non dissimile da quello di cui Nietzsche imputava a a Socrate ed Euripide l’avvento: quel pensiero che provocò, nel V secolo A. C., la morte della grande tragedia attica, oggi continua a far sentire i propri effetti con il proclama: “Conosci te stesso!” Dunque, è morto Dio, ma non è morto l'Io. L'Io però è cambiato e tuttora sta mutando: come, in che termini e in quali direzioni? Per Freud, era sede delle pulsioni di morte, mentre quelle di vita dimoravano nell'inconscio: è ancora così? Seguendo le orme del pensiero di Lacan, Recalcati proclama la morte dell'Inconscio, senza che si possa dire, tuttavia, che l'Io si è riappropriato delle pulsioni di vita: queste ultime, anziché entrare a far parte dell'esperienza personale e dare voce al romanzo della formazione di ciascuno di noi, rischiano di essere oggetto di un differente processo di rimozione, quello che le sposta nel regno del Super Io e della pura idealità. Riattualizzando quel processo di rimozione dello Spirito di cui Kierkegaard aveva già parlato a metà dell'Ottocento.

Dopo la morte di Dio, la morte dell'Inconscio? Annunci e fraintendimenti della civiltà della Cura e dell'Empatia

FABBRI, MAURIZIO
2016

Abstract

Dopo la morte di Dio, la morte dell'Inconscio. Quale dimora per le pulsioni di vita e per l’esperienza della libertà nel tempo del Nichilismo? Maurizio Fabbri “Dio è morto”, annuncia Nietzsche nell'aforisma 125 della Gaia Scienza: senonché, morto Dio, non è morto il “folle uomo” che lo cercava, e l'umano, di cui Nietzsche sollecitava l'estinzione, non è ancora volto al tramonto. Né è morta la metafisica che di Dio aveva annunciato il pensiero e l'avvento: la morte di Dio non ha provocato la morte della metafisica, ma solo il suo svuotamento. Il Nichilismo è l'età dello “svuotamento”, più che del Disincanto: le illusioni e le categorie fondanti della tradizione, anziché estinguersi, sono divenute parte integrante di una quotidianità in cui l'humanitas non è ancora pronta a prendere congedo da se stessa e si affida ai linguaggi, alle parole del passato. Per dire che cosa? Per ridimensionarne lo spessore, evidenziarne la relatività, certo, ma soprattutto per poterle continuare a pronunciare, perché altre non ne conosce. S'impone un pensiero consolatorio, non dissimile da quello di cui Nietzsche imputava a a Socrate ed Euripide l’avvento: quel pensiero che provocò, nel V secolo A. C., la morte della grande tragedia attica, oggi continua a far sentire i propri effetti con il proclama: “Conosci te stesso!” Dunque, è morto Dio, ma non è morto l'Io. L'Io però è cambiato e tuttora sta mutando: come, in che termini e in quali direzioni? Per Freud, era sede delle pulsioni di morte, mentre quelle di vita dimoravano nell'inconscio: è ancora così? Seguendo le orme del pensiero di Lacan, Recalcati proclama la morte dell'Inconscio, senza che si possa dire, tuttavia, che l'Io si è riappropriato delle pulsioni di vita: queste ultime, anziché entrare a far parte dell'esperienza personale e dare voce al romanzo della formazione di ciascuno di noi, rischiano di essere oggetto di un differente processo di rimozione, quello che le sposta nel regno del Super Io e della pura idealità. Riattualizzando quel processo di rimozione dello Spirito di cui Kierkegaard aveva già parlato a metà dell'Ottocento.
2016
Fabbri, Maurizio
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