Le cellule sono unità morfologiche e funzionali che caratterizzano organismi semplici e complessi. La scienza che le studia è la citologia. Le cellule sono oggetto di studio da sempre, perché siano conosciute nei minimi dettagli per una corretta diagnosi di molte malattie dell’uomo e degli animali. La diagnostica citologica è la disciplina che, per mezzo della microscopia ottica, si occupa delle cellule per la diagnosi di svariati quadri morbosi. In veterinaria è relativamente giovane, essendo nata sulla scia di quella della medicina umana ed è gradualmente decollata negli ultimi 30 anni, perché fondata su metodi poco invasivi, rapidi, efficaci e poco dispendiosi. Storicamente, la citodiagnostica umana ha come punto di riferimento nascente la figura e l’attività di ricerca del medico George Papanicolaou che, negli Stati Uniti, nei primi anni del 1900, studiò le modificazioni citologiche, collegate al ciclo estrale, in strisci vaginali di cavia. Nonostante lo scetticismo iniziale del mondo scientifico, Papanicolaou propose, già nel 1928, l’osservazione di strisci vaginali per la diagnosi precoce del cancro della cervice uterina, flagello femminile anche in donne giovani ed in età fertile. Così diventò il creatore del test per lo screening dei carcinomi della cervice uterina, il Pap-test e una sua monografia sulla citologia vaginale, intitolata “La diagnosi del cancro uterino con lo striscio vaginale”, fu pubblicata nel Commonwealth Fund nel 1943. Nel 1954 pubblicò un ricco e voluminoso atlante dal titolo “Atlas of exfoliative cytology”, in grado di fornire valido supporto diagnostico a medici e cultori. Da quel momento la cito-diagnostica è metodo d’indagine in svariati campi della patologia dell’uomo. Un’allieva e collaboratrice di Papanicolaou, Irena Koprowska, assieme al medico veterinario Jeffie Roszel, prese in considerazione le modificazioni cicliche dell’epitelio genitale nel cane e nel gatto. Roszel, all’Oklahoma State University, applicò in seguito il metodo citologico alla diagnosi delle neoplasie del cane, mettendo a confronto, in particolare, l’efficacia diagnostica della colorazione di Papanicolaou e la tricromica di Sano, che avrebbero trovato pochi sostenitori tra i veterinari degli anni successivi. Sempre in quegli anni un veterinario patologo-clinico dell’Università del Minnesota, Victor Perman, iniziò ad applicare le colorazioni ematologiche (Wright, May-Grünwald-Giemsa), più rapide, allo studio delle lesioni tessutali. Nel 1966 Perman pubblicò i risultati della sua esperienza su 1174 casi, arrivando nel 1979 a terminare e pubblicare il primo testo-atlante di citologia veterinaria, seguito nel 1980 da un famoso manuale del Dr. Alan Rebar della Purdue University. E così che ebbe inizio la fortuna della citologia anche in ambito veterinario, non senza dover abbattere e superare, almeno all’inizio, come era già accaduto nella medicina umana, alcuni ostacoli, legati, soprattutto, alla diffidenza di molti anatomopatologi, che consideravano la diagnostica istopatologica come unico metodo in grado di portare ad una diagnosi attendibile e definitiva. Attualmente la citologia è branca dell’anatomia patologica veterinaria in ogni suo capitolo, come anche la dermatologia. Le discipline dermatologiche hanno conosciuto una vera e propria esplosione in campo veterinario, crescendo per importanza ed applicazioni nell’ultimo ventennio, sia nella medicina degli animali d’affezione sia in quella degli animali da reddito. Veterinari, proprietari di animali, allevatori, hanno affinato progressivamente le conoscenze su molte lesioni dell’apparato cutaneo, di immediata osservazione durante l’esame clinico e facilmente campionabili. La necessità di svelare con finalità prognostiche la natura di tali disturbi ha incrementato l’applicazione di tecniche d’indagine più approfondite. In quest’ottica, ha trovato ampia diffusione il metodo d’indagine cito-diagnostico (agoaspirativo, per impronta, scraping o brushing), utile a dare informazioni su lesioni cutanee potenzialmente pericolose per gli animali e, a volte, anche per l’uomo. La diagnosi con la citologia si è evoluta di pari passo all’aumento della popolazione animale in ambito domestico, grazie a nuove acquisizioni e scoperte in campo diagnostico ed alla crescente specializzazione. Un’indagine pubblicata poco più di dieci anni indietro evidenziava come in Italia già vivesse in casa una popolazione di circa 56 milioni di animali, in prevalenza cani e gatti, seguiti da pesci, uccelli da gabbia ed una non trascurabile quota di animali, spinti verso un processo selettivo di addomesticamento forzato, rappresentati da furetti, iguane e pitoni. Pur in tempi di crisi economiche imperanti e di leggi più severe, volte a ridurre i casi di abbandono di animali od a tutelare la presenza ed il benessere negli appartamenti di specie esotiche e/o a rischio d’estinzione, il numero di animali vicini all’uomo e “forzatamente umanizzati” rimane a tutt’oggi alto. Su questi ruota ancora un discreto business socio-economico e sanitario, i cui principali obiettivi sono di garantire lo stato di salute migliore per l’animale ed anche di scongiurare il pericolo di malattie trasmissibili dall’animale all’uomo. Da uno studio condotto dall’autore nel 2003, su un campione di 400 strutture sanitarie ambulatoriali variamente distribuite su tutto il territorio italiano e scelte casualmente, la citologia agoaspirativa è risultata una tecnica applicata nel 89,25% degli ambulatori (357 su 400), di limitato aiuto diagnostico nel 10,25% (41 su 400), di nessun ausilio solo in uno 0,5% (2 su 400); le specie animali su cui era impiegata maggiormente erano per il 99,5% (398/400) cani e gatti, 7,5 % lagomorfi, roditori ed uccelli, 7,5% specie esotiche o non convenzionali e solo per una quota del 1,25% (5 su 400) cavalli ed altre specie da reddito. Era emerso anche che il 99,5% dei prelievi citologici era stato effettuato dalla cute, seguita dai linfonodi (80%) e dai liquidi (25%) come urina, sangue e versamenti cavitari. Il sondaggio aveva permesso anche di rilevare un dato interessante, ovvero che la lettura dei preparati citologici era eseguita per il 92,5% da veterinari referenti specializzati, per il 5% da medici anatomopatologi e per il 2,5% da biologi. Tali dati sottolineavano, già dieci anni indietro, che la diagnostica citopatologica, coinvolgendo in ambito veterinario figure professionali con diversa formazione, era utile, soprattutto, nella diagnosi delle patologie nodulari cutanee dei carnivori domestici. Un sondaggio analogo, fatto ai giorni nostri, conferma i risultati di un decennio prima, con solo piccole e poco significative variazioni percentuali, sia nelle specie trattate, sia nei distretti indagati. Si è annullata completamente la percentuale di chi non la applica ed il 95% dei veterinari si occupa della lettura e della refertazione. Le lesioni cutanee sono spesso visibili, ancor prima che al medico, già a chi custodisce un animale e le motivazioni di un immutato interesse professionale verso il metodo in esame sono puramente di ordine pratico: il corretto comportamento clinico nei confronti di una lesione cutanea, un nodulo cutaneo ad esempio, è legato spesso ad un atto chirurgico o, in maniera sicuramente meno cruenta, all’impiego di un adeguato protocollo terapeutico farmacologico. E’ noto che l’esame citologico può costituire un metodo affidabile nella differenziazione tra lesioni benigne e maligne, il che permette di programmare l’eventuale intervento chirurgico in relazione all’urgenza ed all’aggressività del quadro clinico. La citologia può, infatti, portare alla diagnosi di patologie infiammatorie che talora si manifestano come lesioni nodulari di sospetta natura neoplastica, ma non richiedono l’intervento del chirurgo, e anche di forme displastiche o iperplastiche, che possono essere trattate con una chirurgia poco demolitiva e non urgente, od essere sottoposte a controlli costanti per valutarne l’evoluzione. E’ oramai fatto consolidato da una lunga esperienza che, in campo oncologico, l’esame citologico risulta un valido aiuto nella valutazione della malignità della lesione stessa, indirizzando, quindi il chirurgo sul tipo di intervento da attuare, anche per un prelievo bioptico per ulteriori esami istologici, e sulla possibilità di procrastinarlo, qualora l’animale non fosse temporaneamente in grado di sopportarlo. Da un lato, quindi, la citologia, eseguita con un agoaspirato, coadiuva la diagnosi differenziale tra alcune delle neoplasie benigne più frequenti dei carnivori domestici (adenomi sebacei e delle ghiandole epatoidi, fibromi, istiocitomi cutanei, ecc.), forme potenzialmente più aggressive (tricoblastomi, epiteliomi sebacei, ecc.) e neoplasie sicuramente maligne (carcinomi mammari, carcinomi squamocellulari, sarcomi, mastocitomi, ecc.). Tali lesioni tumorali possono essere ulteriormente distinte da lesioni simil-tumorali come granulomi, piogranulomi e cisti. In un programma di prevenzione e di difesa della salute pubblica, la citologia, tutta, e quella agoaspirativa in particolare, si propone come metodo per riconoscere o sospettare lesioni nodulari di malattie a carattere zoonosico. Forme cutanee di criptococcosi, sporotricosi, morva, tularemia, tubercolosi ed altre micobatteriosi, leishmaniosi, toxoplasmosi devono essere diagnosticate tempestivamente od indagate ulteriormente per svelarne l’eziologia soprattutto in animali che vivono a stretto contatto con soggetti, animali e uomini, immunodepressi (HIV-positivi ad esempio), sottoposti a terapie intensive a base di cortisonici o dal sistema immunocompetente non ancora maturo. E’ opportuno ricordare che il rischio di trasmissione di tali malattie è alto anche per chi si occupa della cura e della diagnosi degli animali stessi. Tra queste, alcune trovano giusta collocazione in alcuni riferimenti normativi che affondano radici nel Regolamento di Polizia Veterinaria approvato con D.P.R. 8.2.1954 N. 320 (art. 1 e successivi aggiornamenti), dove accanto a malattie infettive e parassitarie, soggette a denuncia obbligatoria, ne compaiono alcune trasmissibili, caratterizzate da quadri cutanei clinicamente definiti. Lo stesso regolamento, da sempre, dà indicazioni precise sulle figure professionali tenute a denunciare tali malattie (rif. artt. 2, 5 e 6). Ogni corporazione con specifiche competenze in campo bio-patologico, operativa in strutture nosocomiali e laboratori per diagnosticare malattie animali potenzialmente pericolose per l’uomo, ha il dovere di conoscere e segnalare la comparsa di zoonosi all’autorità sanitaria competente e, pertanto, deve essere sensibilizzata per fornire un supporto più completo all’attività clinico-dermatologica ambulatoriale.

Cellule, dermatologia e salute animale: un trinomio importante per la sanità pubblica.

MILITERNO, GIANFRANCO
2014

Abstract

Le cellule sono unità morfologiche e funzionali che caratterizzano organismi semplici e complessi. La scienza che le studia è la citologia. Le cellule sono oggetto di studio da sempre, perché siano conosciute nei minimi dettagli per una corretta diagnosi di molte malattie dell’uomo e degli animali. La diagnostica citologica è la disciplina che, per mezzo della microscopia ottica, si occupa delle cellule per la diagnosi di svariati quadri morbosi. In veterinaria è relativamente giovane, essendo nata sulla scia di quella della medicina umana ed è gradualmente decollata negli ultimi 30 anni, perché fondata su metodi poco invasivi, rapidi, efficaci e poco dispendiosi. Storicamente, la citodiagnostica umana ha come punto di riferimento nascente la figura e l’attività di ricerca del medico George Papanicolaou che, negli Stati Uniti, nei primi anni del 1900, studiò le modificazioni citologiche, collegate al ciclo estrale, in strisci vaginali di cavia. Nonostante lo scetticismo iniziale del mondo scientifico, Papanicolaou propose, già nel 1928, l’osservazione di strisci vaginali per la diagnosi precoce del cancro della cervice uterina, flagello femminile anche in donne giovani ed in età fertile. Così diventò il creatore del test per lo screening dei carcinomi della cervice uterina, il Pap-test e una sua monografia sulla citologia vaginale, intitolata “La diagnosi del cancro uterino con lo striscio vaginale”, fu pubblicata nel Commonwealth Fund nel 1943. Nel 1954 pubblicò un ricco e voluminoso atlante dal titolo “Atlas of exfoliative cytology”, in grado di fornire valido supporto diagnostico a medici e cultori. Da quel momento la cito-diagnostica è metodo d’indagine in svariati campi della patologia dell’uomo. Un’allieva e collaboratrice di Papanicolaou, Irena Koprowska, assieme al medico veterinario Jeffie Roszel, prese in considerazione le modificazioni cicliche dell’epitelio genitale nel cane e nel gatto. Roszel, all’Oklahoma State University, applicò in seguito il metodo citologico alla diagnosi delle neoplasie del cane, mettendo a confronto, in particolare, l’efficacia diagnostica della colorazione di Papanicolaou e la tricromica di Sano, che avrebbero trovato pochi sostenitori tra i veterinari degli anni successivi. Sempre in quegli anni un veterinario patologo-clinico dell’Università del Minnesota, Victor Perman, iniziò ad applicare le colorazioni ematologiche (Wright, May-Grünwald-Giemsa), più rapide, allo studio delle lesioni tessutali. Nel 1966 Perman pubblicò i risultati della sua esperienza su 1174 casi, arrivando nel 1979 a terminare e pubblicare il primo testo-atlante di citologia veterinaria, seguito nel 1980 da un famoso manuale del Dr. Alan Rebar della Purdue University. E così che ebbe inizio la fortuna della citologia anche in ambito veterinario, non senza dover abbattere e superare, almeno all’inizio, come era già accaduto nella medicina umana, alcuni ostacoli, legati, soprattutto, alla diffidenza di molti anatomopatologi, che consideravano la diagnostica istopatologica come unico metodo in grado di portare ad una diagnosi attendibile e definitiva. Attualmente la citologia è branca dell’anatomia patologica veterinaria in ogni suo capitolo, come anche la dermatologia. Le discipline dermatologiche hanno conosciuto una vera e propria esplosione in campo veterinario, crescendo per importanza ed applicazioni nell’ultimo ventennio, sia nella medicina degli animali d’affezione sia in quella degli animali da reddito. Veterinari, proprietari di animali, allevatori, hanno affinato progressivamente le conoscenze su molte lesioni dell’apparato cutaneo, di immediata osservazione durante l’esame clinico e facilmente campionabili. La necessità di svelare con finalità prognostiche la natura di tali disturbi ha incrementato l’applicazione di tecniche d’indagine più approfondite. In quest’ottica, ha trovato ampia diffusione il metodo d’indagine cito-diagnostico (agoaspirativo, per impronta, scraping o brushing), utile a dare informazioni su lesioni cutanee potenzialmente pericolose per gli animali e, a volte, anche per l’uomo. La diagnosi con la citologia si è evoluta di pari passo all’aumento della popolazione animale in ambito domestico, grazie a nuove acquisizioni e scoperte in campo diagnostico ed alla crescente specializzazione. Un’indagine pubblicata poco più di dieci anni indietro evidenziava come in Italia già vivesse in casa una popolazione di circa 56 milioni di animali, in prevalenza cani e gatti, seguiti da pesci, uccelli da gabbia ed una non trascurabile quota di animali, spinti verso un processo selettivo di addomesticamento forzato, rappresentati da furetti, iguane e pitoni. Pur in tempi di crisi economiche imperanti e di leggi più severe, volte a ridurre i casi di abbandono di animali od a tutelare la presenza ed il benessere negli appartamenti di specie esotiche e/o a rischio d’estinzione, il numero di animali vicini all’uomo e “forzatamente umanizzati” rimane a tutt’oggi alto. Su questi ruota ancora un discreto business socio-economico e sanitario, i cui principali obiettivi sono di garantire lo stato di salute migliore per l’animale ed anche di scongiurare il pericolo di malattie trasmissibili dall’animale all’uomo. Da uno studio condotto dall’autore nel 2003, su un campione di 400 strutture sanitarie ambulatoriali variamente distribuite su tutto il territorio italiano e scelte casualmente, la citologia agoaspirativa è risultata una tecnica applicata nel 89,25% degli ambulatori (357 su 400), di limitato aiuto diagnostico nel 10,25% (41 su 400), di nessun ausilio solo in uno 0,5% (2 su 400); le specie animali su cui era impiegata maggiormente erano per il 99,5% (398/400) cani e gatti, 7,5 % lagomorfi, roditori ed uccelli, 7,5% specie esotiche o non convenzionali e solo per una quota del 1,25% (5 su 400) cavalli ed altre specie da reddito. Era emerso anche che il 99,5% dei prelievi citologici era stato effettuato dalla cute, seguita dai linfonodi (80%) e dai liquidi (25%) come urina, sangue e versamenti cavitari. Il sondaggio aveva permesso anche di rilevare un dato interessante, ovvero che la lettura dei preparati citologici era eseguita per il 92,5% da veterinari referenti specializzati, per il 5% da medici anatomopatologi e per il 2,5% da biologi. Tali dati sottolineavano, già dieci anni indietro, che la diagnostica citopatologica, coinvolgendo in ambito veterinario figure professionali con diversa formazione, era utile, soprattutto, nella diagnosi delle patologie nodulari cutanee dei carnivori domestici. Un sondaggio analogo, fatto ai giorni nostri, conferma i risultati di un decennio prima, con solo piccole e poco significative variazioni percentuali, sia nelle specie trattate, sia nei distretti indagati. Si è annullata completamente la percentuale di chi non la applica ed il 95% dei veterinari si occupa della lettura e della refertazione. Le lesioni cutanee sono spesso visibili, ancor prima che al medico, già a chi custodisce un animale e le motivazioni di un immutato interesse professionale verso il metodo in esame sono puramente di ordine pratico: il corretto comportamento clinico nei confronti di una lesione cutanea, un nodulo cutaneo ad esempio, è legato spesso ad un atto chirurgico o, in maniera sicuramente meno cruenta, all’impiego di un adeguato protocollo terapeutico farmacologico. E’ noto che l’esame citologico può costituire un metodo affidabile nella differenziazione tra lesioni benigne e maligne, il che permette di programmare l’eventuale intervento chirurgico in relazione all’urgenza ed all’aggressività del quadro clinico. La citologia può, infatti, portare alla diagnosi di patologie infiammatorie che talora si manifestano come lesioni nodulari di sospetta natura neoplastica, ma non richiedono l’intervento del chirurgo, e anche di forme displastiche o iperplastiche, che possono essere trattate con una chirurgia poco demolitiva e non urgente, od essere sottoposte a controlli costanti per valutarne l’evoluzione. E’ oramai fatto consolidato da una lunga esperienza che, in campo oncologico, l’esame citologico risulta un valido aiuto nella valutazione della malignità della lesione stessa, indirizzando, quindi il chirurgo sul tipo di intervento da attuare, anche per un prelievo bioptico per ulteriori esami istologici, e sulla possibilità di procrastinarlo, qualora l’animale non fosse temporaneamente in grado di sopportarlo. Da un lato, quindi, la citologia, eseguita con un agoaspirato, coadiuva la diagnosi differenziale tra alcune delle neoplasie benigne più frequenti dei carnivori domestici (adenomi sebacei e delle ghiandole epatoidi, fibromi, istiocitomi cutanei, ecc.), forme potenzialmente più aggressive (tricoblastomi, epiteliomi sebacei, ecc.) e neoplasie sicuramente maligne (carcinomi mammari, carcinomi squamocellulari, sarcomi, mastocitomi, ecc.). Tali lesioni tumorali possono essere ulteriormente distinte da lesioni simil-tumorali come granulomi, piogranulomi e cisti. In un programma di prevenzione e di difesa della salute pubblica, la citologia, tutta, e quella agoaspirativa in particolare, si propone come metodo per riconoscere o sospettare lesioni nodulari di malattie a carattere zoonosico. Forme cutanee di criptococcosi, sporotricosi, morva, tularemia, tubercolosi ed altre micobatteriosi, leishmaniosi, toxoplasmosi devono essere diagnosticate tempestivamente od indagate ulteriormente per svelarne l’eziologia soprattutto in animali che vivono a stretto contatto con soggetti, animali e uomini, immunodepressi (HIV-positivi ad esempio), sottoposti a terapie intensive a base di cortisonici o dal sistema immunocompetente non ancora maturo. E’ opportuno ricordare che il rischio di trasmissione di tali malattie è alto anche per chi si occupa della cura e della diagnosi degli animali stessi. Tra queste, alcune trovano giusta collocazione in alcuni riferimenti normativi che affondano radici nel Regolamento di Polizia Veterinaria approvato con D.P.R. 8.2.1954 N. 320 (art. 1 e successivi aggiornamenti), dove accanto a malattie infettive e parassitarie, soggette a denuncia obbligatoria, ne compaiono alcune trasmissibili, caratterizzate da quadri cutanei clinicamente definiti. Lo stesso regolamento, da sempre, dà indicazioni precise sulle figure professionali tenute a denunciare tali malattie (rif. artt. 2, 5 e 6). Ogni corporazione con specifiche competenze in campo bio-patologico, operativa in strutture nosocomiali e laboratori per diagnosticare malattie animali potenzialmente pericolose per l’uomo, ha il dovere di conoscere e segnalare la comparsa di zoonosi all’autorità sanitaria competente e, pertanto, deve essere sensibilizzata per fornire un supporto più completo all’attività clinico-dermatologica ambulatoriale.
2014
Gianfranco Militerno
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/393798
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