Il capitolo, pubblicato su un volume della collana "Sociologia urbana e rurale" della Franco Angeli (collana peer reviewed), introduce alcune buone pratiche di bioarchitettura presenti in Italia e all’estero. Nel selezionare tali pratiche, l’intenzione iniziale era di concentrarsi sulla “costruzione sul costruito”, partendo dall’idea che non servano tanto nuove abitazioni ed edifici ma rendere disponibili ed eco-compatibili quelli esistenti. L’idea è peraltro ribadita da diversi contributi della prima parte del volume e supportata da dati come quelli sulla disponibilità di abitazioni in Italia: circa 27 milioni, la più alta d’Europa, il 20% delle quali risultano ancora non occupate. La coscienza del problema ha peraltro preso piede in Europa da anni; lo testimoniano reti come le C-40 Cities, le Transition Towns e l’European Green Cities Network, nonché accordi come quello di Bristol sulle comunità sostenibili. Ci sono poi esperienze in cui l’eco-compatibilità passa dalla riqualificazione di quartieri centrali, come Vauban a Friburgo o Västra Hamnen a Malmö. Questa consapevolezza cresce anche in Italia, con le coraggiose politiche di crescita zero intraprese da Cassinetta di Lugagnano (Milano), Solza (Bergamo), Ronco Briantino (Monza e Brianza) o Camigliano (Caserta), ma anche più recentemente da grandi realtà come Firenze. Ci si è presto resi conto, quindi, che il mondo degli interventi di bioarchitettura è molto più ampio della riqualificazione del costruito, e che numerosissimi progetti ex-novo sono altrettanto meritevoli di comparire tra le buone pratiche. Un aspetto che accomuna i casi presentati è il contatto con vari aspetti di quella smart growth di cui si parla tanto negli ultimi anni. Vengono progettati e favoriti gli usi misti del suolo, l’edilizia compatta, la protezione della natura e l’integrazione armonica con essa, i quartieri accessibili ai pedoni e dotati di capacità attrattiva nonché di un forte senso del luogo, l’incoraggiamento alla comunità locale ed ai vari portatori di interessi perché collaborino nelle decisioni da prendere; tutti questi aspetti sono appunto legati a principi della smart growth, che peraltro è promossa da istituzioni come il governo americano e l’Unione Europea. Il primo, attraverso la U.S. Environmental Protection Agency, ha infatti istituito il National Award for Smart Growth Achievement che prevede peraltro un premio specifico per gli “edifici verdi”. La seconda ha messo la smart growth tra gli obbiettivi chiave di Horizon 2020, il programma che assegna centinaia di milioni di euro di finanziamenti alla ricerca tra il 2014 e il 2020. I casi presentati sono accomunati anzitutto dalla “ambizione sociale” che si affianca all’eco-compatibilità; prestano infatti grande attenzione a richieste ed esigenze dei futuri fruitori e abitanti. In diversi casi c’è un coinvolgimento attivo di questi ultimi: si parla di masterplan, di laboratorio progettuale, di urbanistica partecipata, forme diverse ma con la comune idea che un progetto non sia degno di questo nome senza un ampio confronto con chi lo vivrà e lo userà concretamente. Inutile dire che questo aspetto sia determinante in una realtà come quella attuale, dominata da un territorio «quasi saturo, sparpagliato, disordinato, una specie di città diffusa che ha più le sembianze di una metastasi che di una città» (WWF Italia, 2009). I casi presentati sono altrettanti tentativi di andare incontro a queste tendenze insostenibili dal punto di vista ambientale e inique da quello sociale (Stern, 2009).

Riduci, rigenera, ricicla: buone pratiche di bioarchitettura

MANELLA, GABRIELE
2013

Abstract

Il capitolo, pubblicato su un volume della collana "Sociologia urbana e rurale" della Franco Angeli (collana peer reviewed), introduce alcune buone pratiche di bioarchitettura presenti in Italia e all’estero. Nel selezionare tali pratiche, l’intenzione iniziale era di concentrarsi sulla “costruzione sul costruito”, partendo dall’idea che non servano tanto nuove abitazioni ed edifici ma rendere disponibili ed eco-compatibili quelli esistenti. L’idea è peraltro ribadita da diversi contributi della prima parte del volume e supportata da dati come quelli sulla disponibilità di abitazioni in Italia: circa 27 milioni, la più alta d’Europa, il 20% delle quali risultano ancora non occupate. La coscienza del problema ha peraltro preso piede in Europa da anni; lo testimoniano reti come le C-40 Cities, le Transition Towns e l’European Green Cities Network, nonché accordi come quello di Bristol sulle comunità sostenibili. Ci sono poi esperienze in cui l’eco-compatibilità passa dalla riqualificazione di quartieri centrali, come Vauban a Friburgo o Västra Hamnen a Malmö. Questa consapevolezza cresce anche in Italia, con le coraggiose politiche di crescita zero intraprese da Cassinetta di Lugagnano (Milano), Solza (Bergamo), Ronco Briantino (Monza e Brianza) o Camigliano (Caserta), ma anche più recentemente da grandi realtà come Firenze. Ci si è presto resi conto, quindi, che il mondo degli interventi di bioarchitettura è molto più ampio della riqualificazione del costruito, e che numerosissimi progetti ex-novo sono altrettanto meritevoli di comparire tra le buone pratiche. Un aspetto che accomuna i casi presentati è il contatto con vari aspetti di quella smart growth di cui si parla tanto negli ultimi anni. Vengono progettati e favoriti gli usi misti del suolo, l’edilizia compatta, la protezione della natura e l’integrazione armonica con essa, i quartieri accessibili ai pedoni e dotati di capacità attrattiva nonché di un forte senso del luogo, l’incoraggiamento alla comunità locale ed ai vari portatori di interessi perché collaborino nelle decisioni da prendere; tutti questi aspetti sono appunto legati a principi della smart growth, che peraltro è promossa da istituzioni come il governo americano e l’Unione Europea. Il primo, attraverso la U.S. Environmental Protection Agency, ha infatti istituito il National Award for Smart Growth Achievement che prevede peraltro un premio specifico per gli “edifici verdi”. La seconda ha messo la smart growth tra gli obbiettivi chiave di Horizon 2020, il programma che assegna centinaia di milioni di euro di finanziamenti alla ricerca tra il 2014 e il 2020. I casi presentati sono accomunati anzitutto dalla “ambizione sociale” che si affianca all’eco-compatibilità; prestano infatti grande attenzione a richieste ed esigenze dei futuri fruitori e abitanti. In diversi casi c’è un coinvolgimento attivo di questi ultimi: si parla di masterplan, di laboratorio progettuale, di urbanistica partecipata, forme diverse ma con la comune idea che un progetto non sia degno di questo nome senza un ampio confronto con chi lo vivrà e lo userà concretamente. Inutile dire che questo aspetto sia determinante in una realtà come quella attuale, dominata da un territorio «quasi saturo, sparpagliato, disordinato, una specie di città diffusa che ha più le sembianze di una metastasi che di una città» (WWF Italia, 2009). I casi presentati sono altrettanti tentativi di andare incontro a queste tendenze insostenibili dal punto di vista ambientale e inique da quello sociale (Stern, 2009).
2013
Costruire sostenibilità: crisi ambientale e bioarchitettura
77
81
Manella G
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