I temi della casta e della religione costituiscono lo sfondo di molti dei contributi al volume proposti dalle antropologhe Roncaglia, Sai e Morelli, dall’etnomusicologo Silvestri e dall’indologa Angelillo. Di quest’ultima è la foto di copertina che ritrae una donna della casta dei Kalbelia Daliwal, Naturi, mentre, imitata da due bambine, danza per i turisti. Maria Angelillo ci mostra come nella comunità dei Kalbelia Daliwal insediata a Pushkar (Rajasthan), attraverso una trasformazione del patrimonio musicale e coreutico, si sia attuata un’emancipazione da un’identità castale inattuale, quella di incantatori di serpenti, a favore di un’identità ur-gipsy di matrice coloniale. Dell’abilità nell’inventarsi una nuova professione tratta anche Sara Roncaglia nel suo studio sui dabbawala di Mumbay. I dabbawala si occupano di recapitare nei luoghi di lavoro e di studio il pasto preparato a casa, risolvendo in tal modo il problema delle contaminazioni castali e igieniche derivanti dal consumo di cibo in luoghi pubblici. L’autrice evidenzia la dimensione di “mestiere di famiglia” di tale occupazione e ne sottolinea l’alta sostenibilità rispetto al territorio. Un messaggio di rifiuto delle differenze castali e religiose viene espresso dai baul, della cui tradizione musicale tratta l’articolo di Pietro Silvestri. L’autore ha lavorato dal 1996 al 2004 nel Bengala occidentale al seguito di uno dei più importanti maestri baul contemporanei, Narayan Chandra Adhikary, e ci presenta stralci di repertorio di questo e di altri mistici erranti. All’analisi di fenomeni religiosi sono dedicati anche i due articoli che chiudono il volume, entrambi ambientati in contesti migratori europei. L’articolo di Amanda Morelli illustra un caso peculiare di infrazione dell’ortoprassi religiosa, attuata dal fondatore di uno dei templi frequentati dai tamil srilankesi a Parigi; lo studio di Silvia Sai indaga il ruolo che, per i migranti nella provincia di Reggio Emilia, riveste la religione sikh nella costruzione del loro rapporto con il territorio. E proprio quello del territorio è un tema che ha acquisito importanza negli ultimi anni nell’ambito dell’antropologia indianista. Precedentemente concepito come del tutto marginale in un contesto etnografico nel quale gli studiosi privilegiavano approcci analitici fondati sulla casta e sulla parentela, il territorio è oggi al centro di numerosi lavori etnografici . In questo volume gli articoli degli antropologi De Ponti e Sbriccoli affrontano, da prospettive diverse, il tema in questione. Nel lavoro di Isabella De Ponti il territorio ci viene presentato attraverso le canzoni delle donne di due villaggi ai piedi dell’Himalaya. Analizzando i testi e i contesti delle performance canore l’autrice mette in luce la volontà delle donne di manifestare attivamente per la propria terra e per la sopravvivenza della comunità, e mostra come esse rivalutino il ruolo femminile nell’agricoltura. Tommaso Sbriccoli ci illustra l’etnografia di un campo di migrazione dei pastori seminomadi raika del Rajasthan. Attraverso un’indagine delle concezioni raika relative allo spazio e al territorio – leggibili nei termini di una “topografia in movimento” – Sbriccoli pone l’accento sulle pratiche che i pastori mettono in atto nel tentativo di contrastare le logiche egemoniche istituzionali. Sbriccoli mette in luce la necessità per i ricercatori di condurre una etnografia multi-situata, e la medesima istanza metodologica viene avanzata dall’etnomusicologa Laura Leante. Nel suo articolo sul bhangra – una forma coreutica originaria probabilmente del Punjab rurale, diffusasi poi nelle realtà urbane e nella diaspora – l’autrice riflette sulle politiche culturali legate alla promozione di questo stile di danza e sulle trasformazioni che hanno portato il bhangra a rappresentare l’“identità panjabi”. Alcuni lavori in questo numero di Molimo sollevano infine problematiche teoriche o storiche. Nell’articolo di apertura l’antropologo Pier Giorgio Solinas si confronta con un tema classico dei lavori antropologici in contesti indiani, il tema della dote. L’autore ne offre una lettura originale analizzandolo alla luce della logica del dono e delle sue apparenti contraddizioni, e suggerisce di ripensare questa pratica nei termini di “prezzo dello sposo”. L’indologa Silvia Arruzzolo tratteggia la figura di Cornelia Sorabji (1866-1954) - la prima donna indiana a ricevere un salario dal governo inglese come informatrice nativa - attraverso un’analisi della sua autobiografia India Calling. In questo testo Sorabji descrive le sue esperienze a contatto con le donne in purdah, e dalle sue pagine emergono il fascino e il disagio di una “donna dalle due patrie”. Scrive Sorabji in una della prime pagine della sua autobiografia: “A una delle tante piacevoli visite che feci nella mia giovinezza […] a Twickenham, Sir Mountstuart disse di me, nel fare le necessarie presentazioni: ‘Un’amica che ha scaldato le sue mani a due focolari, senza scottarsi’”.

Contesti etnografici dell’Asia meridionale

NATALI, CRISTIANA
2010

Abstract

I temi della casta e della religione costituiscono lo sfondo di molti dei contributi al volume proposti dalle antropologhe Roncaglia, Sai e Morelli, dall’etnomusicologo Silvestri e dall’indologa Angelillo. Di quest’ultima è la foto di copertina che ritrae una donna della casta dei Kalbelia Daliwal, Naturi, mentre, imitata da due bambine, danza per i turisti. Maria Angelillo ci mostra come nella comunità dei Kalbelia Daliwal insediata a Pushkar (Rajasthan), attraverso una trasformazione del patrimonio musicale e coreutico, si sia attuata un’emancipazione da un’identità castale inattuale, quella di incantatori di serpenti, a favore di un’identità ur-gipsy di matrice coloniale. Dell’abilità nell’inventarsi una nuova professione tratta anche Sara Roncaglia nel suo studio sui dabbawala di Mumbay. I dabbawala si occupano di recapitare nei luoghi di lavoro e di studio il pasto preparato a casa, risolvendo in tal modo il problema delle contaminazioni castali e igieniche derivanti dal consumo di cibo in luoghi pubblici. L’autrice evidenzia la dimensione di “mestiere di famiglia” di tale occupazione e ne sottolinea l’alta sostenibilità rispetto al territorio. Un messaggio di rifiuto delle differenze castali e religiose viene espresso dai baul, della cui tradizione musicale tratta l’articolo di Pietro Silvestri. L’autore ha lavorato dal 1996 al 2004 nel Bengala occidentale al seguito di uno dei più importanti maestri baul contemporanei, Narayan Chandra Adhikary, e ci presenta stralci di repertorio di questo e di altri mistici erranti. All’analisi di fenomeni religiosi sono dedicati anche i due articoli che chiudono il volume, entrambi ambientati in contesti migratori europei. L’articolo di Amanda Morelli illustra un caso peculiare di infrazione dell’ortoprassi religiosa, attuata dal fondatore di uno dei templi frequentati dai tamil srilankesi a Parigi; lo studio di Silvia Sai indaga il ruolo che, per i migranti nella provincia di Reggio Emilia, riveste la religione sikh nella costruzione del loro rapporto con il territorio. E proprio quello del territorio è un tema che ha acquisito importanza negli ultimi anni nell’ambito dell’antropologia indianista. Precedentemente concepito come del tutto marginale in un contesto etnografico nel quale gli studiosi privilegiavano approcci analitici fondati sulla casta e sulla parentela, il territorio è oggi al centro di numerosi lavori etnografici . In questo volume gli articoli degli antropologi De Ponti e Sbriccoli affrontano, da prospettive diverse, il tema in questione. Nel lavoro di Isabella De Ponti il territorio ci viene presentato attraverso le canzoni delle donne di due villaggi ai piedi dell’Himalaya. Analizzando i testi e i contesti delle performance canore l’autrice mette in luce la volontà delle donne di manifestare attivamente per la propria terra e per la sopravvivenza della comunità, e mostra come esse rivalutino il ruolo femminile nell’agricoltura. Tommaso Sbriccoli ci illustra l’etnografia di un campo di migrazione dei pastori seminomadi raika del Rajasthan. Attraverso un’indagine delle concezioni raika relative allo spazio e al territorio – leggibili nei termini di una “topografia in movimento” – Sbriccoli pone l’accento sulle pratiche che i pastori mettono in atto nel tentativo di contrastare le logiche egemoniche istituzionali. Sbriccoli mette in luce la necessità per i ricercatori di condurre una etnografia multi-situata, e la medesima istanza metodologica viene avanzata dall’etnomusicologa Laura Leante. Nel suo articolo sul bhangra – una forma coreutica originaria probabilmente del Punjab rurale, diffusasi poi nelle realtà urbane e nella diaspora – l’autrice riflette sulle politiche culturali legate alla promozione di questo stile di danza e sulle trasformazioni che hanno portato il bhangra a rappresentare l’“identità panjabi”. Alcuni lavori in questo numero di Molimo sollevano infine problematiche teoriche o storiche. Nell’articolo di apertura l’antropologo Pier Giorgio Solinas si confronta con un tema classico dei lavori antropologici in contesti indiani, il tema della dote. L’autore ne offre una lettura originale analizzandolo alla luce della logica del dono e delle sue apparenti contraddizioni, e suggerisce di ripensare questa pratica nei termini di “prezzo dello sposo”. L’indologa Silvia Arruzzolo tratteggia la figura di Cornelia Sorabji (1866-1954) - la prima donna indiana a ricevere un salario dal governo inglese come informatrice nativa - attraverso un’analisi della sua autobiografia India Calling. In questo testo Sorabji descrive le sue esperienze a contatto con le donne in purdah, e dalle sue pagine emergono il fascino e il disagio di una “donna dalle due patrie”. Scrive Sorabji in una della prime pagine della sua autobiografia: “A una delle tante piacevoli visite che feci nella mia giovinezza […] a Twickenham, Sir Mountstuart disse di me, nel fare le necessarie presentazioni: ‘Un’amica che ha scaldato le sue mani a due focolari, senza scottarsi’”.
2010
229
9788860012784
Natali C
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11585/373987
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