Con l’espressione “Tartanon pesarese” in una raccolta di acquerelli degli inizi dell’Ottocento raffiguranti i tipi navali che all’epoca si incontravano in Adriatico, si dà nome ad un’imbarcazione con l’albero di maestra attrezzato con grande vela latina indicandone chiaramente anche l’area di appartenenza, Pesaro. Il titolo parrebbe tradire da parte della scrivente uno specifico interesse di studio per questo tipo di barca, ma in realtà si presta solo come un richiamo per evocare, attraverso la metafora del “tartanon pesarese”, l’anima marittima della città e di seguirne la formazione, gli sviluppi e l’evoluzione dal basso medio evo ai secoli dell’età moderna. Pur essendo una città che si affaccia sul mare Pesaro non nasce come città porto. La stessa natura del sito, la geomorfologia del litorale, caratterizzato da bassi fondali, inficiava questa possibilità. In particolari momenti storici però, per la convergenza di fattori di carattere demografico, politico, sociale, il porto di Pesaro assurge a ruoli assai attivi nella panoramica dell’economie marittime dell’Adriatico e più in generale del Mediterraneo. Nonostante la sovranità indiscussa della Serenissima su un mare praticamente monopolizzato nella sua frequentazione ed uso, almeno per quanto riguarda la navigazione in Adriatico dal basso medioevo si riesce comunque a documentare a Pesaro la presenza di un ceto mercantile proteso ad inserirsi nel gioco degli scambi marittimi. Il porto si presenta una centrale importante delle comunicazioni e del commercio del medio Adriatico, in direzione sia dell’emporio veneziano, sia degli scali dell’Istria e della costa dalmata, soprattutto di Ragusa. I poli dove gli armatori-mercanti di Pesaro trattenevano i rapporti d’affari e contattavano i conduttori del naviglio per i viaggi su varie destinazioni e su cui gravitavano per il noleggio o l’armamento delle navi erano appunto Venezia e Ragusa. Non a caso le caravelle, le caracche, le marciliane, i grippi appartenenti a pesaresi, risultano tutti tipi navali di fabbricazione estera, opera di maestri d’ascia e maestranze venete e dalmate. I rapporti con la Serenissima e la Repubblica di San Biagio risultano fondamentali nel processo di maturazione e di crescita delle attività marittime della città ducale che, sebbene priva di una società dedita alla navigazione e più in generale alle arti del mare, pur tuttavia riesce a supplire alle proprie mancanze ricercando altrove carpentieri e patroni di nave. Si avvia insomma un proficuo interscambio di competenze che nel lungo periodo, in riflesso anche di una consistente immigrazione di chioggiotti nei porti di “sottovento”, comporta la formazione anche a Pesaro di una marineria. Il patrimonio di cultura navale dell’elemento forestiero veneziano lagunare e della costa orientale diventa essenziale alla maturazione di esperienze nell’esercizio della pesca, costiera prima, d’altura poi, ma anche a produrre nuovi, originali strumenti di lavoro con la trasformazione di modelli già efficacemente collaudati in altri mari. Mi riferisco soprattutto all’acquisizione, agli inizi del Seicento, della tecnica di navigazione e di pesca a tartana, introdotta in Adriatico da pescatori del Golfo del Leone, che, per quanto concerne i tipi navali di piccolo e medio tonnellaggio, sarà foriera anche di un’importante evoluzione della cantieristica. Attraverso la stratificazione, una generazione dopo l’altra, delle esperienze dei maestri d’ascia, artigiani e capitani di nave dell’area veneta, vettori del patrimonio di cultura navale dei propri luoghi di origine, viene insomma a formarsi una marineria autoctona, capace poi, all’occorrenza, motivata e spinta da particolari momenti di congiuntura, di azzardare con fermezza un salto di qualità con proposte del tutto originali. La marineria veneto-chioggiotta, ormai pienamente integrata nel corpus sociale della città e diventata a tutti gli effetti pesarese, fra Sei e Settecento è ormai pronta a mettere a ...

Tartanon pesarese un veliero adriatico. Costruzione governo attività usi marittimi (secoli XV-XIX)

DE NICOLO', MARIA LUCIA
2005

Abstract

Con l’espressione “Tartanon pesarese” in una raccolta di acquerelli degli inizi dell’Ottocento raffiguranti i tipi navali che all’epoca si incontravano in Adriatico, si dà nome ad un’imbarcazione con l’albero di maestra attrezzato con grande vela latina indicandone chiaramente anche l’area di appartenenza, Pesaro. Il titolo parrebbe tradire da parte della scrivente uno specifico interesse di studio per questo tipo di barca, ma in realtà si presta solo come un richiamo per evocare, attraverso la metafora del “tartanon pesarese”, l’anima marittima della città e di seguirne la formazione, gli sviluppi e l’evoluzione dal basso medio evo ai secoli dell’età moderna. Pur essendo una città che si affaccia sul mare Pesaro non nasce come città porto. La stessa natura del sito, la geomorfologia del litorale, caratterizzato da bassi fondali, inficiava questa possibilità. In particolari momenti storici però, per la convergenza di fattori di carattere demografico, politico, sociale, il porto di Pesaro assurge a ruoli assai attivi nella panoramica dell’economie marittime dell’Adriatico e più in generale del Mediterraneo. Nonostante la sovranità indiscussa della Serenissima su un mare praticamente monopolizzato nella sua frequentazione ed uso, almeno per quanto riguarda la navigazione in Adriatico dal basso medioevo si riesce comunque a documentare a Pesaro la presenza di un ceto mercantile proteso ad inserirsi nel gioco degli scambi marittimi. Il porto si presenta una centrale importante delle comunicazioni e del commercio del medio Adriatico, in direzione sia dell’emporio veneziano, sia degli scali dell’Istria e della costa dalmata, soprattutto di Ragusa. I poli dove gli armatori-mercanti di Pesaro trattenevano i rapporti d’affari e contattavano i conduttori del naviglio per i viaggi su varie destinazioni e su cui gravitavano per il noleggio o l’armamento delle navi erano appunto Venezia e Ragusa. Non a caso le caravelle, le caracche, le marciliane, i grippi appartenenti a pesaresi, risultano tutti tipi navali di fabbricazione estera, opera di maestri d’ascia e maestranze venete e dalmate. I rapporti con la Serenissima e la Repubblica di San Biagio risultano fondamentali nel processo di maturazione e di crescita delle attività marittime della città ducale che, sebbene priva di una società dedita alla navigazione e più in generale alle arti del mare, pur tuttavia riesce a supplire alle proprie mancanze ricercando altrove carpentieri e patroni di nave. Si avvia insomma un proficuo interscambio di competenze che nel lungo periodo, in riflesso anche di una consistente immigrazione di chioggiotti nei porti di “sottovento”, comporta la formazione anche a Pesaro di una marineria. Il patrimonio di cultura navale dell’elemento forestiero veneziano lagunare e della costa orientale diventa essenziale alla maturazione di esperienze nell’esercizio della pesca, costiera prima, d’altura poi, ma anche a produrre nuovi, originali strumenti di lavoro con la trasformazione di modelli già efficacemente collaudati in altri mari. Mi riferisco soprattutto all’acquisizione, agli inizi del Seicento, della tecnica di navigazione e di pesca a tartana, introdotta in Adriatico da pescatori del Golfo del Leone, che, per quanto concerne i tipi navali di piccolo e medio tonnellaggio, sarà foriera anche di un’importante evoluzione della cantieristica. Attraverso la stratificazione, una generazione dopo l’altra, delle esperienze dei maestri d’ascia, artigiani e capitani di nave dell’area veneta, vettori del patrimonio di cultura navale dei propri luoghi di origine, viene insomma a formarsi una marineria autoctona, capace poi, all’occorrenza, motivata e spinta da particolari momenti di congiuntura, di azzardare con fermezza un salto di qualità con proposte del tutto originali. La marineria veneto-chioggiotta, ormai pienamente integrata nel corpus sociale della città e diventata a tutti gli effetti pesarese, fra Sei e Settecento è ormai pronta a mettere a ...
2005
1-416
DE NICOLO' M.
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