Nel solco di una ricostruzione “storica” della frequentazione calendiana del teatro di Brecht – che si snoda a partire dagli anni Sessanta sul filo delle messe in scena proposte dal regista salernitano di “Nella jungla delle città” (con Proietti e Piera Degli Esposti) e, a seguire, de “La madre” di Gor´ki-Brecht con Pupella Maggio e di “Madre Coraggio” –, il contributo propone una riflessione sulla quarta messa in scena brechtiana firmata dallo stesso Calenda, quella di “Vita di Galileo”, interprete Franco Branciaroli, del 2007. Sulla base di una lettura di Brecht come “classico” del Novecento, indomito alfiere delle istanze di risemantizzazione della drammaturgia contemporanea dopo le fughe nell’irrazionalismo delle avanguardie storiche, la messa in scena di “Vita di Galileo” del Teatro Stabile di Trieste si fonda su di un approccio al testo brechtiano mediato da “Contro il metodo” di Feyerabend. Quel che affascina Calenda nella lettura del filosofo tedesco è la tesi centrale di questi secondo la quale ogni gesto innovativo nella scienza sarebbe un atto fondamentalmente anarchico perché la ragione, nel grande scienziato, viene usata contro la ragione, ossia contro il metodo. Riducendo all’estremo la questione, il procedere della scienza avrebbe duqnue spesso in sé qualche cosa di intuitivo e l’intuizione nella scienza potrebbe essere paragonata a quella dell’arte. In margine alla riflessione sugli assunti ermeneutici fondamentali della regia calendiana di “Vita di Galileo”, il contributo affronta pure la questione del rapporto che si dà nel celebre dramma tra anticlericalismo e critica alla religione, così come l’analisi dell’eredità registica trasmessa da Brecht ai suoi successori (registi e attori), segnatamente in ordine al problema dello straniamento.
Conversazione con Antonio Calenda / C. Longhi; A. Calenda. - STAMPA. - (2007), pp. 75-80.
Conversazione con Antonio Calenda
LONGHI, CLAUDIO;
2007
Abstract
Nel solco di una ricostruzione “storica” della frequentazione calendiana del teatro di Brecht – che si snoda a partire dagli anni Sessanta sul filo delle messe in scena proposte dal regista salernitano di “Nella jungla delle città” (con Proietti e Piera Degli Esposti) e, a seguire, de “La madre” di Gor´ki-Brecht con Pupella Maggio e di “Madre Coraggio” –, il contributo propone una riflessione sulla quarta messa in scena brechtiana firmata dallo stesso Calenda, quella di “Vita di Galileo”, interprete Franco Branciaroli, del 2007. Sulla base di una lettura di Brecht come “classico” del Novecento, indomito alfiere delle istanze di risemantizzazione della drammaturgia contemporanea dopo le fughe nell’irrazionalismo delle avanguardie storiche, la messa in scena di “Vita di Galileo” del Teatro Stabile di Trieste si fonda su di un approccio al testo brechtiano mediato da “Contro il metodo” di Feyerabend. Quel che affascina Calenda nella lettura del filosofo tedesco è la tesi centrale di questi secondo la quale ogni gesto innovativo nella scienza sarebbe un atto fondamentalmente anarchico perché la ragione, nel grande scienziato, viene usata contro la ragione, ossia contro il metodo. Riducendo all’estremo la questione, il procedere della scienza avrebbe duqnue spesso in sé qualche cosa di intuitivo e l’intuizione nella scienza potrebbe essere paragonata a quella dell’arte. In margine alla riflessione sugli assunti ermeneutici fondamentali della regia calendiana di “Vita di Galileo”, il contributo affronta pure la questione del rapporto che si dà nel celebre dramma tra anticlericalismo e critica alla religione, così come l’analisi dell’eredità registica trasmessa da Brecht ai suoi successori (registi e attori), segnatamente in ordine al problema dello straniamento.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.